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Carta Idrografica d'Italia
Sangro - Salino - Vomano - Tronto - Tordino e Vibrata
Ministero di Agricoltura Industria e Commercio
Tipografia Nazionale di G. Bertero & C., 1903, pagine 209
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fino ove cessano. Ossia essa avrebbe origine comune con la Capodacqua, della quale non sarebbe che una diramazione.
Dello cosi delie due minori scaturigini del gruppo, è reso più facile l'esame della maggiore e la ricerca dei rapporti ili tutte con l'idrologia generale della catena dei Monti Sibillini.
La Capodacqua nasce entro una valle alla quota di m. 830 circa, al contatto quasi fra i calcari e le arenarie, le quali al sud di essa si elevano alquanto di più, mentre al nord-est, cioè in direzione della corrente del Tronto e verso Arquata. spariscono sotto i detriti calcarei.
La sua portata, alquanto variabile tino che non è pervenuta allo stato di magra, ma relativamente costante dopo e mai inferiore a m3 0. òlio, richiede discreta superficie alimentante e svela un lungo percorso sotterraneo, perchè altrimenti le forti diminuzioni continuerebbero anche dopo il principio della magra; e le reintegrazioni per opera delle zone prossime allo sbocco, in seguito alle pioggie autunnali, giungerebbero sempre in tempo ad impedire un eccessivo impoverimento.
Tale lungo percorso sotterraneo emerge pure dalla considerazione che, sebbene il Vettore poco appaia contribuirvi, avendo più facili e vicini sbocchi, nell'Aso principalmente e poi nella Pescara d'Arquata e negli alti rami della Nera, pure, sia per ragione di quota, sia perchè verso Capodacqua proseguono senza alternanza con altri' roccie i suoi calcari semi dolomitici, mentre negli altri versanti dominano quelli marmosi, potrebbe senza incontrare granili resistenze avviarvi le sue acque più prolonde, riversando negli altri bacini quelle meno basse.
Ma, quand'anche ciò non avvenisse, nel qual caso mancherebbe a questa scaturigine il tributo di due terzi dei calcari che possono defluirvi, dovrebbe ricevere quello di parte del piano di Castelluccio, altrimenti non avrebbe nei dintorni sufficiente campo alimentante. Ed allora se non egualmente come dal Vettore, pure abbastanza lungo sarebbe il percorso dei filetti più lontani e superiore in tempo alla durata della massima siccità su quei monti.
In qualunque modo quindi, molto lungi si spinge la superficie che deve avviarle il contributo, e siccome il confine del bacino del Tronto è assai vicino alla sorgente e lo è pure a tutta la linea del contatto fra i calcari e le arenarie, cosi dai bacini contigui deve necessariamente ritrarre la parte maggiore delle sue acque. Che questa regione esterna sia poi il monte Vettore o le sue dramazioni a sud ovest, e specialmente quelle verso il piano di Castelluccio, poco importa, nè è possibile determinarlo ; solamente, essendo naturale che ogni zona, quando ostacoli speciali non intervengono, defluisca alie scaturigini più vicine, parrebbe che i dintorni del Castelluccio a preferenza del Vettore quivi contribuissero, ed allora si potrebbe ad un dipresso ritenere che il nucleo centrale di quel monte, che al sud si estende lino alla Forca di Presta, dasse le sue acque sotterranee fuori del Tronto, all'Aso cioè, al Tenna ed alla Nera, mentre la regione all'est ed al sud del piano grande del Castelluccio, fuori del bacino, comprendente i monti Moretta, Rotonda, Guaidone, Cappellata e Serra, oltre quelli sui quali passa lo spartiacque fino al monte Utero e che continua entro il bacino lino al contatto con le arenarie, ripartisca le sue acque fra le sorgenti Capodacqua e Pescara di Arquata, alla quale ultima avvia una vena secondaria, ossia una diramazione.
Come avvenga poi, relativamente a quanto si è detto a principio della piesente discussione ossia qual fatto recondito si produca, per impedire alle acque dì questo ammasso di monti calcari di andare tutte a scaturire nel fiume Sordo od in altre valli della Nera, ove più facilmente potrebbero manifestarsi i deflussi, non si saprebbe dire con certezza, ma è molto probabile che la forma orografica esterna sia in qualche modo imitata nell'interno dalle stratificazioni, o meglio ancora, che l'asse del sollevamento che rialzo la catena dei Monti Sibillini, abbia prodotto un grande an-ticlinale sotterraneo che forma displuvio alle acque di infiltrazione profonda, in causa specialmente di roccie poco permeabili, non affioranti ancora all'esterno, sulle quali forse riposano i calcari permeabilissimi. Altre ipotesi si potrebbero fare, specialmente in vista dell'estensione dei