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Il Comune Teramano
nella sua vita intima e pubblica
Francesco Savini
Forzani e C., 1895, pagine 612

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Cap. XVIII - Sue condizioni nel per. delle fazioni e delle signorie (1388-1507).
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   essere, e qui meglio ci apparirà, lo stato degli animi in mezzo a quella burrasca di tempi. Si è perciò che noi li vediamo ora av-! viliti sotto la sferza de' domestici tiranni ed óra levarsi impavidi 1 contro costoro. Così difatti scorgemmo i civici magistrati (capitolo xvi, § i) atteggiarsi come un branco di pecore al cospetto di Antonello di Valle nel biennio 1388-1390^ cosi pure, dopo le terribili stragi della famiglia Di Melatine e de' suoi fautori per vendetta degli Acquaviva, vedemmo (cap. xvi, § 3) nel 1424 il magistrato, ligio a questi, sottoporsi al nuovo padrone Giosìa di quella casa. Al contrario poi i Teramani, usciti di signoria nel 1443 e ridestatosi in loro il vecchio spirito di libertà, si dettero tosto a promuover leghe co' vicini contro il pericolo delle feudali dominazioni (cap. xvi, § 6). Mirabili poi ci appaiono (cap. xvi, §§ 8, 9 e 22) le grandi agitazioni pubbliche e private contro i novelli pericoli di quelle nella seconda metà del secolo xv, non che la energia e l'intrepidezza dei capi della città innanzi ai sovrani per vie più assicurare la demaniale libertà; così pure vedemmo (capitolo xvi, § 9) l'amor di questa nel 1459, al ritorno della signoria, cacciar nella via dell'esilio i più cospicui cittadini. Quello però che meglio ci fa manifesto lo spirito de' tempi è la ferocia cruenta delle vendette partigiane sia nei cittadini contro i ministri della tirannide, siccome nel terribile fatto di Marco di Cappella (capitolo xvi, § io), e sia in questi stessi quando col ferro assassino spegnevano i più poderosi loro avversarii, come ci ammaestrano i pietosi casi di Marco Ranerio (cap. xvi, § 8) e di Mariano di Adamo (cap. xvi, § 18). Non diversa vicenda ci appare nei sentimenti del magistrato, quando ora domanda ne' regii diplomi il castigo, o la vendetta che vuoisi, dei rivali (cap. xvi, § 11) ed ora si sforza per ottenere la pacificazione della patria (cap. xvi, § 18) ; ed infine la facilità nel potere centrale di tórre persine il nome delle parti nel 1507 ci deve ancora mostrare l'esaurimento e la debolezza, che precedettero l'apatia e il sopore, con cui si adagiarono i nostri popoli nel seguente secolo xvi alla straniera signoria.
   Quello che però più ferma l'attenzione del narratore di questo infelice periodo comunale è la strana vicenda di avvilimenti e di audacie che noi abbiamo ora osservato nelle persone pubbliche; quel rapido passaggio, ad esempio, dalla servilità verso gli Acqua-viva alla intrepidezza sì magnanima da sfidare il pugnale de' loro sicarii. Ora di siffatto contrario contegno noi attribuiamo la causa, in generale, a quella violenza e varietà di passioni, che segnavano

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