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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   congiuntura misteriosa a cui debbo una delle più profonde ore di mia vita. Credetti il transito avvenuto la sera del Venerdì Santo e già deposta la salma sul letto mortuario. E dove poteva Maria aver alzato quel letto se non nella stanza delle vigilie, nell'angusta fucina del grande artiere, tra le mura riarse dalla vampa del cervello maschio? Ero ceno di questo e per tutta la mattina il mio pensiero non cessò un attimo dall'insistere nel luogo lontano che cercavo di ricostruire con lo sforzo della memoria.
   E a poco a poco la mia coscienza entrò in quello stato che precede il canto.
   Ora avevo nella Landa un altro amico so/ speso da più settimane tra la vita e la morte, condannato irremissibilmente. Era il mio ospite, lo straniero affabile da cui ebbi la casa tranquilla su la duna, dove abito da due anni.
   Non ricordo se Gioviano Pontano nel suo capitolo De tolerando esilio, e Pietro Alcionio nella sua giudiziosa dissertazione impressa dal Mencken in Analecta de calamitate litteratorum pongano, tra le delizie del fuoruscito volontario o involontario, il delicato sapore dell'amistà contratta oltremonte ed oltremare. Ma certo l'aroma della resina verso sera e la fragranza delle ginestre sotto vento a levata di sole non mi
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