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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Gli schiavi accorrevano verso il guaritore. La lamentazione si prolungava per gli ànditi tortuosi. Gli infermi apparivano, portati a braccia dai parenti, agitati, illuminati di speranza. Gridavano i loro mali, le loro piaghe, le loro angosce. Chiedevano d'essere sanati, d'essere liberati. Chiamavano a testimonianza quelli di loro che nascondevano nelle pieghe del saio i rotoli delle Scritture, perché quelli conoscevano i miracoli operati dal dio novello. Ed ecco, tutte le guarigioni erano noverate, l'una dopo l'altra: il lebbroso era mondo, il paralitico camminava, il cieco vedeva, il lunatico e l'ossesso avevano pace, l'idropico era alleviato delle sue acque, il figlio della vedova di Naim sorgeva dalla sua bara. Ma un dèi leggitori di rotoli ripensava il miracolo più profondo, ripensava il cadavere quatriduano, e gridava: « Ti sovvenga di Lazaro! » E l'incredulità di Didimo era addotta. Didimo voleva Vedere le ossa disgiunte ricongiungersi e favellare. H Cristo gli aveva risposto: « Le ossa disgiunte io te le mostrerò ricongiunte. Vieni a Betania, Didimo, vieni con me. Gli occhi di Lazaro vuotiti della putredine, io te li mostrerò pieni di visione. Vieni con me, Didimo. Le labbra imputridite su i denti di Lazaro, le vedrai muovere, le udirai favellare. Vieni a Betania, Didimo; se
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