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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Tutti i denti gli tentennano nella bocca enfia. E le sue palpebre, e i suoi occhi, ahimé ! »
   Credo che in quel punto la voce mi si spegnesse, perché mi si serrava la gola.
   E allora un sentimento mai provato mi scrollò le radici dell'essere, perché a un tratto udii il suono d'un pianto umano che non avevo udito mai, tra quelle quattro mura deserte e lontanissime da ogni rumor del secolo udii il profondo singhiozzo del « consumato Amore » che cantò Jacopone, scorsi le medesime lacrime, che avevano rigato il viso di Francesco in ginocchio dinanzi al Crocifisso di San Damiano o errante intorno alle mura della Porziuncola.
   O secca anima mia, che non puoi lacrimare!
   Non mi mossi. Poteva quel pianto essere consolato o interrotto? E quale parola poteva esser detta, che valesse in dolcezza una sola di quelle lacrime? E, in verità, qual cosa avrei potuto trovare dentro di me più bella di quella « nuditate d'amore » che mi si mostrava all'improvviso in un vecchio già inchinato verso la tomba? E come potrei ora significare la qualità di quel pianto « pieno di consolanza » ?