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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   E, quando uscimmo, il silenzio dell'immensa Landa, con le sue miriadi di tronchi dissanguati dal ferro del resiniere, con le innumerevoli sue piaghe di continuo rinfrescate e allargate, con il perpetuo suo gemito aulente, era come il silenzio d'una moltitudine dolorosa che non si lagna, perché accetta il suo compito e la sua pena.
   E io compresi quella parola d'avvenire, che dice come la natura sia per trasformarsi a poco-a poco in cerchio spirituale e il tutto sia per sublimarsi in anima.
   Chi anche ha parlato di « membra mistiche dell'uomo » ì In qualche ora sembra che noi non riconosciamo taluno degli atti più consueti della nostra vita corporale. Come camminavamo, l'uno a fianco dell'altro, sul sordo sentiero co* perto dagli aghi dei pini ? Non v'era divario tra il passo del vecchio e il mio, perché il nostro passo non era delle nostre ossa, dei nostri muscoli, dei nostri tendini. Se bene andassimo davanti a noi, io aveva in me il sentimento di volgere indietro quel che più di me ferveva, come la face trasportata rovescia la cima della sua fiamma.
   Gli occhi del mio amico erano appena ray sdutti, e il luogo, ove il « consumato Amore » aveva pianto, e l'evento avverato erano già come avvolti in un velo di memoria, i cui lembi
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