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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   ondeggiavano verso la mia più fresca infanzia. La commozione ancor mi teneva tutto, la realtà non soltanto era recente ma presente ancora; e pure una parte di me faceva sforzo ansioso per ricor/ darsi di non so che altro, per raffigurarsi non so che cosa di più profondo e di più dolce. Ma può l'attesa avere la figura della rimembranza?
   Non parlavamo. Di tratto in tratto io lo guar/ davo con l'angolo dell'occhio; e mi stupivo che un viso di tanta vecchiaia, lavato dalle lacrime, mi rammentasse per la sua espressione certi epu sodii patetici della fanciullezza: uno tra gli altri.
   Un giorno avevo fatto piangere la mia cara sorella Anna, per un capriccio crudele; e poi l'avevo racconsolata, sbigottito, perché ella era tanto sensibile, che quando le accadeva di pian/ gere, anche per una cosa lieve, pareva l'avesse colpita una sciagura irreparabile ed ella fòsse per stemprarsi nel suo dolore. Vedendomi così pen<-tito e afflitto, ella si sforzava di raffrenare il sin/ gulto e di rasciugarsi le guance. E mi ricordo che io la presi per mano e la condussi per una rèdola, tra due campi di lino; e avevamo con noi il nostro cane paziente ch'era stato la causa del liti/ gio. E di tratto in tratto io la sogguardavo; ed ella, per non farmi più pena, cercava di vincere il sin/ gulto ostinato che le scrollava il piccolo petto, o,
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