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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   come per togliergli l'acredine, lo preveniva con un sorriso che si rompeva subito. E allora mostrava d'esser contenta di tutto quel cilestro del lino, come s'io gliel'avessi donato; e pareva che non io volessi rientrare nella sua grazia ma si volesse ella farsi perdonare. E v'era nella sua attitudine tanta tenerezza e gentilezza, che non potei più sostenerla, e mi feci tutto lacrimoso anch'io, con suo sgomento.
   Non so perché, q uesto ricordo mi rifiorì dal cuore mentre camminavo a fianco del vecchio. E mi pareva di andare errando senza meta per un paese che io non conoscessi; ma egli sapeva la sua via.
   Ci ritrovammo a piè della duna ove sorge la cappella, e salimmo, tra i giovani pini, sino al limitare. Egli non disse alcuna parola per invi" tarmi a entrare nel suo rifugio. Mi tese la mano, e mi diede la sua amicizia come nella Domenica delle Palme si dà il rametto d'ulivo su la porta della chiesa azzurra d'incenso. Portando meco la cosa preziosa, discesi la china, mi dilungai per la Landa.
   Era prossima l'ora del vespro, ma l'aria pa' reva non rattenere della luce se non le particelle d'argento.
   Di là dalla selva non scorgevo i lidi, ma rice/ vevo la quiete della bassa marea; che è come
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