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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   quando la fèbbre decade nel polso cui vien sottratta qualche oncia di sangue.
   Non avevo mai sentito vivere gli alberi di tanta doglia.
   Taluno aveva un sol taglio nel piede; altri l'aveva sino a mezzo il tronco scaglioso; altri portava una ferita viva accanto a una rammar-ginata; altri era svenato a morte, con solchi che incavavano l'intero fusto simili alle scanalature nella colonna dorica. E il succo vitale stillava e colava per tutto : i vaselli d'argilla n'erano colmi.
   Qualche resiniere ancora s'attardava a rinfrescare una piaga; e s'udiva risonare il ferro nel vivo, senza lagno.
   Ciascun albero aveva il suo martirio, quasi che in ciascuno abitasse uno spirito avido di soffrire e di sanguinare come l'eroe divino da me eletto.
   E in quella sera feci l'invenzione del Lauro ferito. Il corpo di Sebastiano si distaccava lasciando tutte le frecce nel tronco del lauro d'Apollo. Le asticciuole scomparivano nella carne miracolosa come un vanire di raggi. « Rivivrai, rivivrai! Ritornerai!» gridavano gli Adornasti.
   D'allora innanzi il mio novello amico mi visitò sovente. Come io faceva di notte giorno, egli soleva venire su la fine del pomeriggio, quando ero per accendere il mio fuoco. Mi
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