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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   d'Oignies e l'istoria di San Francesco poverello. Simile a quei pellegrini, che traversavano gli eserciti nemici avendo per solo salvacondotto in sul cappello il piombo effigiato di San Michele del Periglio o di Sant'Egidio di Linguadoca,egli passava immune a traverso il secolo d'acciaio. Anche dinanzi ai traffici della sua città operosa e danaiosa, egli doveva aver di continuo negli occhi quella parete del camposanto di Pisa ove un nostro pittore, — che fu, quanto lui, divoto di San Domenico, — dipinse la Tebaide degli anacoreti come un mondo verace in un mondo fallace.
   E la Via Lattea certo era pur sempre per lui il cammino di San Iacopo, e i bagliori in cima agli alberi delle navi erano i fuochi di Sant'Elmo; e San Medardo era ancora il signore dell'utile pioggia.
   E nulla d'angusto, nulla di meschino s'accompagnava in lui a questa ingenua fede. La sua indulgenza era grande come la sua disciplina.
   Egli era venuto verso me con abondanza di cuore non certo attratto da odor di santità, ma solo dal pregio di un'anima sempre vigile; perché una povera serva gli aveva detto che io consumavo nelle mie notti più olio d'oliva che non ne bisognasse alla lampada perpetua della cappella.
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