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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   E la finezza della sua mente corrispondeva alla delicatezza del suo cuore. Un nobile ritegno governava ogni suo atto e ogni sua parola, quando egli era per appressarsi all'intima vita dell'amico. Non prodigava i consigli, anzi non ne dava quasi mai; ma la sua semplice presenza era un soccorso coperto.
   Vidi un giorno su la collina di Francavilla, in un sentiero selvaggio che conduceva al Con/ vento ove col mio grande e puro Francesco Paolo Michetti mi credo aver vissuto i miei giorni mi" gliori, vidi un giorno a maraviglia per una proda il tronco tagliato d'un vecchio alloro rimettere un gran numero di germogli, che al loro nascere avevan l'aria di sprizzare dal legno come faville verdi. Ogni volta che passavo, il tronco pareva cangiare tutte quelle cimette vive in lingue loquaci per dirmi: « Non disperare, non disperare ».
   Non altrimenti risfavillava di sempre fresca speranza il nìio amico. Egli conosceva la sentenza è la vignetta dell'Ars moriendi: « Hawi un sol 1 fallo grave al mondo: il fallo di chi dispera. Ben { più colpevole fu Giuda in disperare che il Giù' ì deo in crocifiggere Gesù. » E, quando andava a visitare i poveri, gli infermi, i prigionieri e ogni sorta eli peccatori in angustia, soleva dire che quattro Santi l'accompagnavano: San Pietro il
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