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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   e San Iacopo lo esorta: « Di' quel che ell'è ». Dante e l'ignoto marmorario avevano fedelmente tradotto, l'uno nella terza rima, l'altro nella mate/ ria dura, la diffinizione che della Speranza dà nel Libro delle sentenze un teologo di Francia, Pierre Lombard vescovo di Parigi : « Spes est certa exspectatio futurae beatitudinis... »
   « Spene » diss'io « è uno attender certo della gloria futura... »
   Il mio amico restò lungamente pensoso di quella rispondenza fra la cattedrale di pietra e [' la cattedrale di parole, l'una sorta nella sua terra r e l'altra nella mia. Pareva che io gli avessi più , avvicinato Dante e gli avessi scoperto nell'ardua i mole gotica un punto misteriosamente sensibile, in cui potessero i nostri spiriti convergere e comunicare.
   Alla fine del nostro colloquio, (il vento occi/ dentale squassava tutta la Landa e l'immenso fragore dell'Oceano faceva sembrar fragili tutte le cose), egli mi posò le mani su l'uno e su l'ai/ tro omero, mi guardò con la sua anima nuda emersa a fiore del suo viso diafano, e mi chiese: «Quando; Quando?» Era in me quella malin/ conia potente in cui il cuore batte più robusto
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