XV APRILE MCMXII
#\UANDO entrai nella piccola infermeria V^domenicana, al primo sguardo conobbi che l'uomo da bene aveva già abbracciata la nostra suora morte corporale e se la teneva ben serrata cóntro il suo petto.
Primamente, non veduto, lo vidi in uno spec
chio. Una donna, dolce e severa, che poteva essere
Sant'Anna col suo mazzo di chiavi appeso al
fianco, m'aveva condotto sul verone di legno ove
s'affacciava la camera dell'infermo; e s'era ritratta,
per lasciarmi solo con lui, per non farsi testimone
inopportuna del nostro turbamento. Nell'ap-
pressarmi alla soglia, scorsi su la parete lo spec
chio e déntrovi, dentro quella specie d'orrore
inaccessibile e rischiarato, il vecchio che stava
seduto, intentissimo, tenendo ambe le mani prc
mute su l'atroce ospite carnale che gli rodeva
la bocca dello stomaco. Mi soffermai, con uno i '
spaventoso tremito nel cuore, perché veramente dentro quel vano la morte era visibile come nelle danze macabre, e tutta l'imagine veramente era di là dal velo. Egli alzò le ciglia e sussultò abbandonando le mani su le ginocchia, perché mi scoperse anch'egli nella spera e mi vide
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