venire a lui non dalla vita diurna, non dal' l'aria e dalla luce, ma dal fondo di quel pallido sepolcro. E, co m'entrai, mi parve non di varcare Una soglia comune ma di superare un limite tremendo.
Non conosco, nella storia della santità, una preparazione al transito più bella di questa.
San Francesco, pur conversando con la sua suora infèrmitade, lasciò che i medici tentassero di combatterla. Riconobbe d'aver sempre trat' tato troppo duramente il suo corpo e mostrò di pentirsene. « Giubila, fiate corpo, e dammi per' donanza; ché or mi conviene satisfare a* tuoi disii. » I dottori pontificii, a Fonte Colombo, gli cavarono sangue, lo vessicarono e cauteriz' zarono. Col ferro rovente gli affocarono le tetri' pie, mentr'egli pregava « frate focu » che soffrire non lo facesse oltre sopportazione. Ad Assisi, nella casa del Vescovo, di continuo lo curava il medico aretino. Di tratto in tratto era preso da qualche strana voglia e mandava in cerca i suoi fiati che talvolta, come nella notte del prezzc molo, s'impazientivano. Alla Porziuncola Già' comina Settesoli gli apprestò quella vivanduzza romana prediletta, quel camangiare di man' dorle, che durante la malattia aveva spesso desiderato. Dopo, sentendo prossima la fine, si ^
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