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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   sa qual bianchezza abbagliante. Sempre i fami/ gliari, se erano presenti, escivano l'un' dopo l'altro perché rimanessimo soli.
   Per non affaticarlo, non lo lasciavo parlare né gli parlavo con le labbra. Stando al suo fianco, seduto, in silenzio, non mi peritavo di guardarlo intentamente, tanto m'attraeva la bellezza del suo mistero.
   , Lo sentivo morire e vivere.
   Il suo viso nella macie era come un teschio palese, ricoperto d'un tenue velo di fuoco bianco.
   Non so dov'egli fosse per trapassare e per rico/ minciare; ma è certo che, tacendo, simile a un tessitore in sogno, tesseva con la sua morte una vita che non era come la mia vita.
   La mia vita, che è la mia passione e il mio orrore, la mia vita, che mi rapisce e mi ripugni, si moltiplicava con un'abondanza vorticosa come quando ascolto tra la folla le sinfonie dei grandi maestri. L'amore il dolore e la morte rimesco/ lavano l'oceano della mia musica con braccia titaniche indistinguibili.
   Talvolta il morituro prendeva il mio polso e lo teneva nella sua mano sul sostegno della seg/ gioia. Allora soffrivo d'avere tuttavia tanto san/ gue, e così rapido. Mi ritornava il senso del mio corpo, accompagnato da un'angoscia che doveva
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