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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   essere simile allo sforzo vano del generare, quando ne stilla un sudore quasi di tramortimento.
   E non m'ero mai sentito tanto potente e tanto miserabile.
   jA.MICO, — gli parlavo in silenzio, — ho avuto molte primavere travagliate, ma non una come questa. So quel che mi significa la dimanda dei vostri occhi buoni, ma non so che rispondere. Le parole che talvolta mi salgono alle labbra, non oso proferirle; anzi oppongo al loro impeto i denti serrati, perché temo di perdermi e di non potermi più ritrovare. Nondimeno mai, da che vivo, non ebbi un istinto e un bisogno di mutazione tanto profondi e agitati. Un giorno, ahimé, molto lontano, nel camposanto di Pisa, che sembra illu' minato dal crepuscolo di quella luce verso cui siete volto, meditai su me medesimo
   tra i due neri cipressi nati dal seno della morte;
   e mi parve che, se avessi dovuto cominciare la mia vita nuova, avrei scelto per luogo del comin' ciamento quel divino chiostro alzato dall'arte
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