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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   in un'ora, per far largo intorno al mio pensiero impaziente. Mi parve che il modo mi offendesse, e m'accorsi che non ero offeso in alcun modo. Avendo perduto qualche bel legno tarlato, qual/ che bel vetro incrinato, qualche bel ferro arrug/ ginito, entrai nel possesso di questa più bella verità: esser necessario bruciare o smantellare i vecchi tetti, sotto i quali abitammo in carne o in spirito. Soltanto mi furono tolti il giubilo e l'orgoglio della volontaria arsione.
   Or, quando c'incontrammo, io non aveva se non gli strumenti del mio lavoro, la mia lampada fornita, e una vecchia serva che nel servire era più nobile dell'antica regina dal piè d'oca. Ahi, non questo era l'essenziale ! « Dopo aver tutto ottenuto per ingegno, per amore o per violenza, bisogna che tu ceda tutto, che tu ti annienti. »
   Ma che cosa è tutto per me? e quale la condii zione dell'annientamento ì
   So che, per farmi nuovo, io non debbo obbc dire a una parola già detta ma a una parola non ancor detta. So che la povertà e l'amore della povertà non hanno alcuna efficacia spirituale nella conquista ch'io son per intraprendere. Ma il Cristo ha veramente detto tutte le sue parole?
   Mai Gesù mi fu più vicino, e mai n'ebbi un senso tanto tragico. In un libro disegnato or è
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