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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   prova era quasi risibile. Allora giunsi a un pie/ colo poggio verde che ha il nome di Montagnola; e quivi era a diporto una compagnia di giovani cappuccini, condotta da un frate barbuto, e le tonache dei novizii avevano lo stesso colore delle foglie sparse per l'erba. Mi rivolsi al fiate per dimandargli novelle dell'eco; ed egli n'aveva una memoria vaga, come di cosa scomparsa. Solo sapeva di certo che laggiù un muro era crollato in una casa visitata dall'incendio. I novizii ton/ duti rimasero pensosi. La luce su la campagna infinita era come quella che passa a traverso gli alabastri. Vagai ancora intorno al poggio e per gli argini chiamando, provando; e il tono della mia voce mi faceva soffrire, tanto era lontano da quello della mia anima ed estraneo al mistero che perseguivo. Nondimeno la qualità del mio scon/ tento era nuova e mirabile. Tornai su le mie orme, pei viali molli d'acqua piovana. La pia/ nura era senza fine come il cielo. Una campana sonava alla Certosa. Rividi sotto il poggio le foglie e le tonache fulve. M'appressai. I novizii erano assorti e taciturni; e qualcuno aveva in bocca qualche filo d'erba e, tenendo gli occhi bassi, mi pareva che sentisse con le palpebre la freschezza della sua anima. Io dissi: « Non c'è più ! Forse è morta. Era la più bella del mondo ».
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