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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   lui, un turbine sorto dall'assito di quella camera quieta. E bisognava che io mi levassi a seguitare una virtù che s'era partita da me e aveva superata la soglia. Erano ancora su la tavola i fiori che avevo recati, e i frutti d'Italia. Erano le spesse arance siciliane, del cui solo succo ornai si nutriva il mio amico, a stilla a stilla. « Non più ho" bisogno dei vostri fiori e dei vostri frutti ma delle vostre preghiere. » Allora discendevo nella Landa carica di polline sulfureo, lasciando dietro di me l'interlocutore silenzioso dei miei dialoghi affrontato col muro, ove s'apriva il vano dello specchio inesorabile. E, come tutto in me era disposto al canto, facevo le mie preghiere.
   A.DUNQUE il giorno che ricevette il sacra/ mento dell'Estrema Unzione, mi mandò a chia/ mare. Come indugiai un'ora, mandò di nuovo. Pareva ch'egli fosse in grande ansietà.
   Salendo su per la duna, mi soffermavo per contenere il battito e per guadagnare qualche istante. Intorno alla cappella era l'odore di quelle lacrime di ragia, che sovente sostituiscono l'in/ censo e il belzuino nei turiboli delle Lande.
   Quando fui sul verone di legno, incontrai nello specchio il suo sguardo d'attesa. Mi spiava
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