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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   nel fondo del cristallo lugubre ove egli voleva essere testimone continuo del suo perire. Non stava già nel suo letto ma tuttora seduto su la sua seggiola. La sua santità era cresciuta di lume. Non soltanto egli era stato unto del crisma ma aveva anche ricevuto per messaggio la benedizione del Pontefice di Roma. E una reliquia preziosissima era su la tavola, presso di lui.
   Soltanto allora seppi ch'egli possedeva nei suo oratorio una scheggia della vera Croce, e che da anni le aveva consacrato una lampada perpetua.
   Non osai di sedermi, se bene invitato. Qualcosa di lontano e d'inviolabile era in lui, quasi che il vetro d'un tabernacolo lo proteggesse. Ma, quan>-do mi fiso, il più umano tremito scompose le linee del suo viso spiritale, così ch'io tutto mi contrassi come a ricevere una percossa.
   Egli ritrovò in sé il soffio bastante a formare la parola e il discorso, perché credeva di obbedire a un comandamento. Non poteva più tacere,, non poteva più attenersi alla muta interrogazione dello sguardo e all'allusione timorosa. Già unto dell'olio santificato, stava per entrare con Dio in quel colloquio che non più consente di volgersi verso l'uomo. Egli non aveva se non quell'ora, sul limite del sepolcro, per indirizzare in via di
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