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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   torchietti dell'altare ; ma qua e là vi brillavano lacrime limpide come acini di cristallo.
   E dove erano infìssi i pezzi di bandone obliqui per condurre lo scolo, quivi la piaga pareva più dolente.
   E, se volgevo gli occhi alla cima, sentivo ch'essa non era toccata dal dolore ma era assorta in un pensiero d'altezza. Keiolet non dolet.
   Tutto si santificava in una luce di grazia, in una « bontà senza figura ».
   Il più tenero fiore di cinque petali era schiuso entro una povera scarpa accartocciata come una scorza.
   Un germoglio lanoso spuntava dal foro di una latta arrugginita; e tra gli spigoli della lamiera storta brulicavano su per i fili della tela minu* scoli ragni, gialli come granelli di polline. E il minuto pigolio dei pulcini nascosti nel cespuglio era come se quel brulicame divenisse vocale.
   E da ogni più piccola voce si partiva un'onda senza fine confusa nell'immensa dissonanza del vento.
   E il vento era come il rammarico di ciò che non è più, era come l'ansia delle geniture non* formate ancora, carico di ricordi, gonfio di pre* sagi, fatto d'anime lacere e d'ali vane. E forse andava, laggiù, a sfogliare il libro aperto sopra
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