il leggio di quercia, quel libro ch'era antico quando la quercia ancor « viveva nella sua selva sonora ». E forse l'ascoltava, laggiù, il cieco che non sa doride venne, non sa dov'ei vada, né può cansar l'abisso che si sente ai piedi... « di fronte? a tergo ? »
Tanto era viva la presenza fraterna, che mi volsi come se avessi udito il mio nome. E Gio/ vanni di San Mauro era là, sotto un gran rovo intricato che soffocava una ginestra in fiore.
Aveva la sua veste dei campi, la sua veste di contadino: il capo scoperto, il collo nudo. Sedeva sopra un ceppo tagliato. Col mento nella palma, mi guardava dentro il cuore; e, nella fissità, la sua guardatura aveva a destra una lieve loschezza come se quella fosse la pupilla sempre « intenta ad altro ». Era tutto bianco, incanutito; e la fronte era veramente un luogo di luce per molti/ tudini, ma le ritrose dei capelli le davano un che di selvaggio in sommo, un che d'indocile su tanta umiltà. Le sue mani scarnendosi erano divenute belle. E il silenzio delle sue labbra era fatto di quelle profonde pause, che ne'suoi poemi contengono il suo più umano amore o il suo più
In quel punto scoccò, dalla torre della cappella, l'ora seconda dopo mezzodì.
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