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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Passai davanti alla porta, su pel sentiero di sabbia, senza arrestarmi. A ogni passo, mi pareva di perdere qualcosa di me, di lasciarmi sfuggire qualcosa di più fèrvido che il sangue, come se fossi premuto dal rigore di due ombre. A ciascun fianco avevo la morte, come chi cammina fra due compagni per favellare con l'uno e con l'altro alternativamente.
   Vedevo il cadavere nell'aspetto più spaventoso, quando non è ancora immobile, quando non è ancora in pace, quando il rito funebre lo mano/ mette, lo costringe a simulare il gesto, movendolo, sollevandolo, nel purificarlo, nel vestirlo.
   Come giunsi al principio della mia viottola, a poca distanza dal cancello, mi riscoppiò nello spirito un lampo dell'allucinazione che mi aveva tormentato pei tutto l'autunno. L'uomo era là, ma senza rilievo.
   (Quando salii su la mia duna, la bassa marea aveva scoperto nell'insenata il lungo banco mediano, simile nella forma sottile a un ramo secco di palmizio. Era grande bonaccia, nell'aria e nell'acqua. I velarii continuavano a svolgersi e a dissolversi. A tratti il sole appariva tra lembo e lembo; e tutte le sabbie si schiarivano, con un
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