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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   che di molle come il colore interno della banana. Si velava: e tutte scurivano, si facevano brune come gli aghi aridi accumulati, come le fascine delle palafitte.
   Il corpo dell'annegato si riformò sui banco, intiero come quando l'avvistai la prima volta.
   Fu una mattina di settembre: un cielo can/ dido, un mare quasi di latte. La marea discen/ deva.
   Ero seduto su la loggia. Guardando, scorsi sul banco non so che cosa solitaria e immobile, la cui tristezza mi gravò il cuore prima che la vista la riconoscesse.
   Era un cadavere deposto dalla corrente, era l'annegato del giorno innanzi: una povera cosa nuda, più misera d'un rottame, più squallida d'un mucchio d'alghe; ma ora pareva che tutti i lineamenti del paese e della marina, da levante a ponente, da borea a mezzodì, convergessero in quel punto di miseria.
   Scesi alla spiaggia, chiamai due rematori; e andammo con la barca fino alla secca, per ricondurre l'uomo.
   Stava bocconi, con la testa pendente in un cavo della sabbia, con le ginocchia profondate, con le calcagna in alto, con le mani conserte presso l'ombelico. Il sangue versato dalle orecchie e
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