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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   dalla bocca tingeva la poltiglia acquidosa, e la rena scorreva lenta nel cavo e si mescolava al sangue. Un'orecchia e i capelli intorno erano ingrommati; il braccio era scarnissimo, bian/ chiccio, debole come un braccio di fémmina; le unghie e le falangi erano paonazze come quelle del tintore a ząffara; le gambe erano pai/ lide sotto i peli bestiali, i piedi erano chiazzati d'azzurro.
   Lo guardavo con l'attenzione terribile del/ l'arte, come non l'avrebbe guardato neppure la sua madre; me lo stampavo dietro le pupille. Tenevo curvato su lui il mio ribrezzo angoscioso con le due branche della mia volontą. Una vespa ci ronzava intorno insistente, e la sabbia era lavorata come i bugni.
   I rematori gli presero i malleoli in un nodo scorsoio, e lo trassero in acqua con la gome/ netta legata a poppa. Il sangue nero rimase nella poltiglia, e lo lavņ la marea pił tardi. Ricevetti per sempre nel cervello anche l'orrenda scia.
   Poi i due, aiutati da un terzo, lo sollevarono all'approdo. Ciascuno lo teneva sotto l'ascella, e il terzo per i piedi cerulei. S'inarcava appena, essendo rigido; e la testa pendeva gił come nel cavo, col naso pieno di coagulo rossiccio.
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