La sera me lo rividi ritto su la loggia, nel/ l'ombra.
Per gli occhi sbarrati dallo spavento m'entrò anche più a dentro. M'era sconosciuto; non sapevo nulla di lui, fuorché qualche notizia vaga del suo stato modesto, della sua vita volgare, E l'avevo compagno implacabile.
Calando il sole, cominciavo a temerlo. M'aspet/ tava presso il cancello, quando rientravo. Nelle notti di lavoro, quando nella stanza attigua la candela s'era strutta, appariva nel rettangolo buio dell'uscio. Gli vedevo l'orecchia piena di grumi, la bocca e il naso carichi, il braccio scarno.
E non m'era più possibile dormire dalla parte del mare.
Poi fu meno assiduo, si mostrò a intervalli sempre più lunghi, si scolorò, divenne una larva fievole, si disperse. Ma il pensiero della morte restò in me gravato da quell'orrore.
Ed ecco che riappariva, ecco che si rimetteva bocconi su la sabbia ad aspettare, come se io dovessi di nuovo imbarcarmi e andare a cercarlo!
Sì, la paura corporale della morte era in me, come se l'uno e l'altro amico dipartendosi m'aves/ sero curvato verso il sepolcro, verso la putredine l'ossame e la cenere. Le dita invisibili della
IIO