malattia mi sfioravano la nuca, le reni, la gola, i precordii. Camminavo imaginando le gambe appesantite da un piombo subitaneo o invase da una sorda mollezza di bambagia. Vedevo chino su me il medico che ascolta e che palpa. Un soffio, un fremito, un qualche romore di con/ danna m'esciva del cuore; o da una molecola del cervello un offuscamento repentino si spandeva su tutto, come il nero che schizza dalla borsa della seppia e intorbida l'acqua.
Dominai l'angoscia. Tuttavia le cose mi si manifestavano come se io le guardassi da non so che chiusa profondità.
I suoni parevano impigliarsi nel silenzio come in una sostanza tenace: il gemito fioco d'una sirena all'imbocco, il rombo d'un'elica, il tonfo d'un remo, il richiamo d'un pescatore, il grido d'un uccello.
E le attitudini disperate dei pini, davanti la mia loggia, in tanta inerzia dell'aria, mi tocca/ vano per un sentimento simile a quello ch'espri/ mono i gruppi scolpiti della Deposizione, ove le Marie si piegano sul divino corpo investite da una raffica di dolore. Lo sforzo iroso del vento aveva tòrto per anni i tronchi e i rami; e l'aspetto della tortura durava, mentre l'aria era immobile.
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