Una pena mi si svegliò nel cuore: pensai ài miei cuccioli di cinque giorni, dagli occhi ancora suggellati. Erano nove; e, per non spossare la madre, bisognava risolversi alla scelta crudele, al sacrifizio dei meno belli e dei meno forti ! Avevo fatto cercare da per tutto una nutrice, senza riuscire a trovarla. Entrai nel canile, col cuòre ammollito da una pietà quasi feminea.
La levriera, coricata sul fianco, teneva il muso nascosto tra le zampe incrociate, con la grazia del cigno che caccia il becco sotto Pala. I suoi belli occhi d'un colore di dattero avevano una lucen* tezza quasi fèbrile, e un lieve affanno sollevava le sue costole disegnate come i madieri d'una carena.
Cinque de' suoi piccoli poppavano, con un vigore già pugnace, pontando contro il seno materno le due zampette per ispremere la manv mella, scotendo a tratti il capo per meglio trarre; e un'ondulazione di godimento correva dalla grinzolina della collottola alla punta della coda di sorcio, parendo quasi render palese il getto irrigante; e un fievole fiottio accompagnava il poppare, un fiottio lontano che faceva pensare a quello mattutino dei gabbiani sospeso su la bonaccia.
Gli altri quattro, sazii, dormivano sul dorso come bimbi, mostrando il ventre roseo dove
113