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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Li avevo veduti escire a uno a uno, come pie/ cole nuvole opaline, come sfere azzurrognole, ; come mondi informi: spettacolo nauseabondo e sublime. Avevo veduta la infaticabile tenerezza della madre nettarli a uno a uno dall'orrenda schiuma, troncare il cordone sanguinante, sospin/ gerii ciechi e sordi verso la fonte tiepida della sua vita. Tutto m'era parso grande e augusto, portento d'amore e di sapienza; tutto ora mi pareva sacro. Come avrei potuto scegliere e con/ dannare? Mi sentivo pronto a qualunque ufficio più umile e greve per salvare pur la men bella di quelle creature viventi.
   L'uomo del canile indovinò la mia pena e mi disse: «Aspettiamo ancora qualche giorno. La nutrice si troverà. Me n'hanno promessa una, nella Landa».
   Mi mossi verso la cappella di Nostra Donna. Il cuore mi oscillava tra la vita e la mone.
   Avevo preso meco un mazzo di rose che somigliavano quelle ch'io non vedo più, quelle di Toscana alternate coi giaggiuoli lungh'essi i muri graffiti dei poderi, a Castel Gherardo, o verso il Palagio del. Sere, o lassù al Crocifisso Alto. Riudivo il versetto intonato da Enrico Suso: « O giovinetta rosa di primavera! O vernalis rosala ! »
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