Era un cantico d'ali, un inno di piume e di penne, quale non s'ebbe più vasto il Serafico, quale non si sognò così pieno Paulo di Dono. Era la sinfonia vesperale di tutta la prima/ vera alata, per Giovanni di San Mauro, per l'interprete di ogni aerea voce.
Saliva, saliva senza pause.
E a poco a poco, di sotto al salmo silvano, si moveva una musica fatta di gridi e di strepiti conversi in note armoniose da non so qual virtù della lontananza e della poesia.
Erano i suoni famigliari che avevano cui/ lato i sogni agresti di Castelvecchio: risa di bimbi, favellio di massaie, uggiolio di cani, peste di cavalli, mugghi di mandre, stridore di carretti.
E i galli chiamavano e rispondevano, dai chiusi di giunco marino e di bianco spino, come se il vespro si mutasse in alba, la quiete in risveglio.
E le campane sonavano come «nei cilestri monti».
E la sera varcava la soglia, simile a un grande arcangelo velato.
Giova ciò solo che non muore...
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