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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   E il sole gotico non s'era colcato dietro la grande Rosa?
   Il salmo non aveva fine. Tutto pareva salire, ancora salire, sempre salire, nel rapimento di quel canto.
   Il ritmo della Resurrezione sollevava la terra.
   Io non sentivo più i miei ginocchi, né occu/ pavo il mio luogo angusto con la mia persona; ma ero una forza ascendente e molteplice, una sostanza rinnovellata per alimentare la divinità futura.
   Cose ignote, esseri ignoti erano per nascere al suono della mia prossima voce.
   Non v'era più ombra né paura di morte in me; né pur v'era desiderio o speranza di pace. « Non voglio la pace. Voglio morire nella passione e nel combattimento. E voglio che la mia morte sia la mia più bella vittoria. »
   Avevo accesa una nuova lampada ma anche rifuso un più ricco olio nell'antica perché riardesse.
   Mi sentivo figlio di me, e le mie labbra non avevano appreso a proferire il nome del Padre nell'orazione.
   « Amici, è sempre sera e presto sarà notte. » Vedendo guizzare su la parete un lume improv viso, mi levai. Qualcuno stava per accendere un cero a piè dell'arca imaginaria. Mi levai, mi volsi, uscii.
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