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Contemplazione della morte

Gabriele D'Annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, 1941, pagine 124

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Passai presso un cespuglio fragrante nell'omo bra, che mi divenne un sentimento meraviglioso.
   D'un tratto uno scoppio di passione canora trasmutò il silenzio in un'ansia intenta. Le stelle s'appressarono alle chiome dei pini feriti.
   Cantava l'usignuolo.
   Vidi brillare il Faro laggiù, su l'estrema lingua di sabbia. M'accorsi d'esser vicino alla mia duna. Camminai verso la casa, con l'anima rovesciata indietro a ricevere il canto.
   Un'ombra stava diritta presso il cancello, nel luogo medesimo ove soleva aspettarmi l'uomo livido. M'appressai con un passo più rapido, con gli occhi aguzzati.
   Era uno sconosciuto della Landa che mi con/ duceva la nutrice. Teneva a guinzaglio una cagna da caccia, che a quando a quando man/ dava fuori un lamentio sommesso. E la voce della madre era così straziante, che non udii più quella dell'usignuolo.
   « Dove ha lasciato i suoi piccoli?» chiesi allo sconosciuto.
   Il carnefice li aveva annegati in una tinozza d'acqua fredda, tutti: erano dodici!
   Mi curvai verso la disperata, posi un ginocchio a terra. Lo sprazzo rosso del Faro illuminò la sua bella testa falba dalle larghe orecchie di velluto,
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