CORRIERE ABRUZZESE - Annata 1876
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    Anno II.
    Mercoledì 3 F^eh^raio 1S76
    PREZZI D' ABBONAMENTO
    
    Anno . . L 9
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    Un numero separato cent. IO
    LiTICO-lET"!
    Esce il Mercoledì e il ® aÌDato XIV TERAMO
    ANCORA DELLA TRINACRIA
    Massimo d'Azeglio, il più gentile cavaliere dei tempi nostri, lasciò scritto che fatta V Italia, bisognava pensare oramai a fare gly italiani. Queste parole, piene di sapienza e di candore, ci risuonano mestamente nell' animo, pensando al caso della Trinacria e all' inverecondo ciarlìo, che vi fanno sopra i giornali di ogni colore. Non ci sorprende già che la Trina-cria sia fallita: anche le Società di navigazione possono fallire, e la Trinacria pur troppo non fu la prima. Nè tanto ci duole la probabile perdita dei cinque milioni, che più non ci contristi il modo, onde questa nuova jattura è piovuta sul capo dei contribuenti italiani. Questo fatto suscita nell' animo nostro un ordine elevato di nensieri, dinanzi a cui si dileguano le
    Stato nell' agguato e disinteressare i creditori favoriti. Non basta. 11 Ministero commette alla Camera di commercio di Palermo d' indagare lo stato finanziario della Società per constatare se il promesso sussidio valesse a mantenerla in piedi, e fosse sufficientemente garentito. E la Camera di commercio, ente elettivo del luogo, che certamente non poteva ignorare il vero essere delle cose, fa il gatto di masino e tiene il sacco, curante assai più degli altrur interessi che della propria dignità e degl' interessi dello Stato, della cui tutela con improvvido pensiero era stata investita. Si sollevano, è vero, delle voci solitarie, Cassandre infelici, che alzano un lembo della cortina e additano il pericolo: ma la stampa sicula, questa fiera oppositrice degli arbitri governativi, questa vigile scolta di ogni progresso, quegli -nnPAcn filtrine di osmi libertà, chiu-
    do Direzione ed Amministrazione sono pi «evito; inmente pi ente la Tip»'jrajfa ?9 del (jisrnale
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    Aon si restituiscono i manoscritti.
    non si purifica, se non si estingue questa sete immonda di ricchezza e di materiali godimenti, se non si svolge nelle moltitudini Jj abito al lavoro,.Italia previdenza ed al risparmio, è vano il gridare a nuove libertà, che ottenute non tarderebbero a rimetterci sul collo la peggiore delle schiavitù.
    Dinanzi a questo" fatto noi non abbiamo che un desiderio. Che la Camera e 1' Autorità giudiziaria indaghino sottilmente di chi è la colpa, e dileguino] del tutto il velo, che avviluppa il brutto mistero. Nulla sarebbe più da dolere che il gitfcar-vi su della cenere per paura di scandali. Il vero scandalo sarebbe a lasciare impunita così grossa fraudo, il cui minor danno è la perdita materiale. A tempi molli e corrotti occorrono esempi virili, e niente altro fuorché la luce e la giustizia può disperdere il cumulo di tania
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    uou iu ia prima. Nò tanto ci duole la probabile perdita dei cinque milioni, che più non ci contristi il modo, onde questa nuova jattura è piovuta sul capo dei contribuenti italiani. Questo fatto suscita nell'animo nostro un ordine elevato di pensieri, dinanzi a cui si dileguano le divisioni intestine e le gare di parte. Comprendiamo benissimo la maligna compiacenza degli uni neir accusare di leggerezza il Ministero, e lo zelo stolto e burbanzoso degli altri nel difenderlo; ma ne questi nè quelli mettono il dito sulla piaga, e rilevano con franchezza la deformità morale del fatto e 1' intrinseca sua malvagità.
    Negli sgoccioli della passata sessione, quando la Camera era già oppressa dal caldo e affaticata da una intempestiva e angosciosa discussione, che avea fieramente commossa una nobile parte del regno, viene indotto il Ministero, sopra elementi fallaci forniti dalla Sjck t\, a presentare una legge per 1' anticipazione dei 5 milioni, che dovea servire quasi pegno di pace fra il governo e la Sicilia. Evidentemente la Camera, votando la legge, obbediva a un criterio politico, dinanzi a cui ogni sacrifìcio parve e parrà sempre lieve agi' italiani. Ma le influenze che a-vevano strappato il voto al Parlamento, non potevano tacere'sul capo del Ministero. che tosto si vide saettato d'ogni parte pel versamento della somma deliberata. La Camera però avea poste delle guarentigie e conveniva adempirle. Ed eccoti il Consiglio di amministrazione della Soc età, che presenta bilanci e conti, atti assai meglio a nascondere che a chiarire la *wt situazione sociale, per trarre lo
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    della cui tutela con improvvido pensiero era stata investita. Si sollevano, è vero, delle voci solitarie, Cassandre infelici, che alzano un lembo della cortina e additano il pericolo: ma la stampa sicula, questa fiera oppositrice degli arbitri governativi, questa vigile scolta di ogni progresso, questa generosa tutrice di ogni libertà, chiusa (come direbbe il Precursore) m un pa-triotico riserbo, non indugia a dileguarle, pronta dopo il fatto a levarne le alte querimonie e rifonderne tutta la colpa sul governo.
    Tutto ciò, diciamolo con onesta franchezza, non è fatto per infondere un'alta fiducia nel livello morale degl'italiani. Noi riconosciamo (e non esitammo a dichiararlo) che il Ministero ha un grave torto in questa faccenda, quello di essersi lasciato ingannare; ma se vi è un ingannato vi sono degl' ingannatori, annidati in alti uffìzi elettivi, e ci sembra il caso di ripetere che se Africa piange, Italia non ride. E ciò vorremmo meditassero coloro, che vanno ogni giorno cianciando di allargare Jc pubbliche libertà, quasi panacea ai mali che travagliano la nazione. No, signori, mille volte no!.... Persuadiamoci una volta che ciò che difetta all'Italia non è la libertà; sì la probità dei costumi e la forza di sopportare la povertà, anziché macchiarsi di colpe. Ej la gente nuova colla cupidigia dei subiti guadagni, che avvelena lo Stalo. SDno « i bisogni cresciuti e le voglie intemperanti, che avviluppano 1 Italia in una rete fittissima d'interessi coalizzati, che si manifestano sotto molteplici aspetti e depravano la vita della nazione, con esso il governo che ne promana. Se V ambiento me r ile
    Nulla sarebbe più da dolere che il girarvi su della cenere per paura di scandali. Il vero scandalo sarebbe a lasciare impunita così grossa fraudo, il cui minor danno è la perdita materiale. A tempi molli e corrotti occorrono esempi virili, e niente altro fuorché la luce e la giustizia può disperdere il cumulo di tanta putredine morale.
    Per quanto dolorosa sia la ferita recata al Tesoro nelle presenti strettezze, ci sarà nondimeno abbastanza compensata se sapremo cavarne qualche utile ammaestramento, e pigliarne conforto a fare due leggi, sempre invocate, spesso promesse, ma non deliberate giammai, che sono come i freni naturali del presente sistema politico: , una che sanzioni in modo stabile ed efficace il principio statutario della responsabilità dei ministri; Pa1 tra che purghi la Camera dai trafficanti di mestiere grossi e piccoli, di destra e di sinistra, che legati tra loro con un filo d* oro si nutrono alla facile mammella dello Stato, e guardano con orgogliosa alterezza T armento sovrano, che li pastura ?..'..' ; ___
    Cronaca Abruzzese
    Aquila.  Scrive la Gazzetta: Con Decreto in data 26 dicembre 1875, comunicato il giorno 31 gennaio pi p. il Cav. Iacobucci Michele è stalo confermato nella carica di Sindaco della nostra città pel triennio 1876-1878. Non era a dubitarsene. Il Governo non potea privarsi di un funzionario sàggio e conciliante, nè defraudare la città dell' opera zelante, oculata e patriottica di chi per due anni avea dato pruova di essere amministratore solerte, intelligenti ed onesto.