CORRIERE ABRUZZESE - Annata 1876
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    Notizie Artistiche
    Ascoli Piceno 16 Marzo 1876
    Vna nuova opera d' arte adorna la ricca Pinacoteca di questa città: è una grandiosa tela dipinta dal giovine e valente pittore sig. Giulio Cantalamessa, la quale fu per la prima volta esposta al pubblico il giorno l i del corrente mese. Soggetto principale de! quadro è Francesco Stabili, più nolo nella storia col nome di Cecco p Ascoli, che gì' Italiani, Letterali e Scienziati del trecento reputarono con unanime consentimento, filosofo, scrittore e maestro dottissimo; e che, vittima illustre de' studi e del suo fiero carattere, arsero sul rogo gl'Inquisitori di Firenze nel 1327. Vedesi un' ampia stanza ove e 1' architettura e alcune rozze decorazioni e due slemmi sospesi alle pareti ed altri contrassegni, con sagace accortezza ritrovali, indicano che Ja scena dipinta avviene a Firenze nel palazzo del Podestà abitato dal Duca Carlo di Calabria figlio del re Roberto di Napoli fra il 1326 è il 1327. È noto che la città di Firenze dette per 10 anni la Signoria a quel Duci, perchè vi ordinasse un reggimento più militare e con mezzi efficaci difendesse la città da Caslruccio Castracani di Lucca, che già avea vinti più volte in battaglia i Fiorentini, e in quel tempo, incoraggiato da Lodovico il Bavaro, minacciava baldanzoso di conquistare Firenze. Carlo fece il suo ingresso trionfale in quolla città nel luglio del 1326, con gran seguilo di cavalieri napoletani e circondato da uomini di gran dottrina, fra i quali e primo di tutti, era Cecco d'Ascoli, medico valentissimo e principe degli Astrologi e dei filosofi del suo tempo.
    persona, o insoave atto appoggiale alle pareti e presso alla? porta, stanno attentamente ad ascoltarlo ben 21 figure che nel tipo delle loro facce e nelle forme de' loro abiti rigorosamente confermano il tempo] e il luogo sovrindicati. Sono fiorentini e provenzali, ecclesiastici e secolari, popolani ed uomini d'alto aliare che ascoltando si mostrano meravigliali della gran sapienza del filosofo. 11 quale nel-I' ampia fronte, nella serenità dello sgnardo, nei tratti spiccati, nell'aspetto tranquillo quasi venerabile, e in tutta la persona a nobile alterezza posata rende intera l'immagine dell' uomo dòtto, dell' uomo di allo animo, dell'uomo di fiero carattere che, non curando il mondo che lo circonda, vive nelle alte regioni della ^Scienza e del Bene.
    Il pittore volle rappresentare il protagonista del suo quadro; negli atti abituali ed ordinari della vita, in mezzo ai cari studi, in una di quelle letture scientifiche che tante volte e pubblicamente e privatamente egli fece, e che gli procacciarono tanta fama di dottrina, e che eccitarono tanta invidia negli emuli.
    Non volle rappresentarlo trascinato innanzi al furente e folle tribunale dell'Inquisizione, non volle colla mostra di spietate torture o delle fiamme vorticose del rogo eccitare nei risguardanti una pietà artifiziale o un' ira ingenerosa e intempestiva; non volle nemmeno far pompa di grandi abiti sfarzosi, e di ricami e di ornamenti e di altre splendidezze raffigurandolo in mezzo alla Corte del suo principe: volle presentarlo ai suoi concittadini come era da sè nell' intimo della sua vita particolare; ma in modo che tutti lo'amassero e lo apprezzassero degnamente e pensassero di rivendicarne il nome e la gloria. Solo ci
    colte parole e frasi slaccate, le hanno coi)% più vile furberia e colla più infame perrer, sità concertate ed ordinate, per colorire k loro denunzia al Tribunale dell' Inquisizione-per compiere la loro spietata, la loro infernale vendetta. Storicamente sono un Vescovo j d'Anversa che la setta clericale mandò vigile scrutatore degli atti e dei disegni di Carlo j di Calabria, e il famoso medico fiorentino Dino del Garbo. Il primo per intreccio e ma- j neggio di misteri cortigianeschi, ai quali non furon forse estranei i capricci e le lascivie j della Duchessa, divenne segreto ed implaca-1 bile nemico a Cecco d' Ascoli. Il secondo I da tutti gli Storici è designato la prima e , la più potente cagione delle sventure toccate all' ascolano filosofo, contro cui giurò la ssa vendetta sin da quando si vide sorpassalo ed umiliato dalla dottrina ed eloquenza di Ini nell'Università di Bologna, e quando si vide I a lui posposto dall' invito di un Papa inA-, Vignone.
    Molti, a giudizio degl'intelligenti, sono i I pregi di questo grandioso lavoro del Canta- , lamessa; moltissimi poi e quasi mirabili di- f ventan essi, considerando la giovine età del , pittore e i troppi travagli di mal ferma sa- f Iute che lo affliggono.
    Ognuno spassionatamente conclude eh© ili quadro del Cantalamessa sarà grand'ornamentol e vanto di questa Città.
    Y
    Dall' Eco del Tronto rileviamo essere stalo , bello forbito ed applauditissimo il discorso de' , Prof. Spalazzi col quale fu inaugurata l'espi , sizione del quadro.
    Cronaca Abruzzese
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    in battaglia i Fiorentini, e in quel tempo, incoraggiato da Lodovico il Bavaro, minacciava baldanzoso di conquistare Firenze. Carlo fece il suo ingresso trionfale in quolla città nel luglio del 1326, con gran seguilo di cavalieri napoletani e circondato da uomini di gran dottrina, fra i quali e primo di tutti, era Cecco d'Ascoli, medico valentissimo e principe degli Astrologi e doi filosofi del suo tempo.
    Nel mezzo del quadro sorge la figura dello Slabili in atto di parlare; colla sinistra egli sorregge e mantiene aperto un libro che poggia sullo scrittoio, mentre col gesto della destra e colla viva espressione dello sguardo accompagna la potente parola che par si riversi e si spanda dalle dischiuse sue labbra. Intorno in diversa posa sedute, o dritte nella
    APPENDICE 5
    LEGGENDA ABRUZZESE
    per
    BATTISTA DE LUCA
    V.
    Manca un giorno perchè la settimana descriva ventiquattro volte il suo perio lo fino al venerdì ed un giorno manca perchè il mese per la sesia volta torni al tredicesimo giorno.
    a Son dodici mesi e domani... tredici... venerdì... saranno tredici mesi da che egli giurò di tornare fra le mie braccia. Egli ha tardalo; la^sù lo rimprovererò dinanzi al Signore!»
    Venne il domani, il venerdì, il giorno tredici, in cui si compiva il tredicesimo mese da ehe Fernando s' era diviso da Lena con solenne giuramento di tornar fra un anno a menarla sua sposa.
    La lenta febbre, che da tempo iva consumando il bel corpo della fanciulla, pareva che, con lo spuntar di quel di, avesse d' un tratto troncalo il suo corso micidiale ed ufi vigore novello fosse subentrato improvviso a rianimare lo ^Trarrle fibre di tulio quel dilicalo involucro. Col subitaneo risorgere delle forze, senti Lena risorgere in cuore le care ineunte di un tempo che era staio, le quali si erano ile " ^«" g'icodu in lei mano a mano, che vedeva il ripido avan-
    generosa e intempestiva; non volle nemmeno far pompa di grandi abili sfarzosi, e di ricami e di ornamenti e di altre splendidezze raffigurandolo in mezzo alla Corte del suo principe: volle presentarlo ai suoi concittadini come era da sè nell' intimo della sua vila particolare; ma in modo cho tulli lò 'amassero e lo apprezzassero degnamente e pensassero di rivendicarne il nome e la gloria. Solo ci fan presentire , orrenda disgrazia che dovrà colpirlo fra poco, due figure dalla bieca faccia e dal ghigno perfido e beffardo, che parlan sommesse fra loro. I traiti della malignità e della perfidia si veggono spiccati in quei volti, e in uno si rammenta lontanamente la fiso-nomia di Giuda che il gran Leonardo da Vinci dipinse nel suo famoso cenacolo. Essi han rac-
    zarsi del crudo malore, che essa ben sapeva essersi impossessato della sua vita: - »
    E diceva: « Ei tornerà 1 » E levatasi sui gomiti guardava dal suo giaciglio di tanto in tanto la luce del sole per accertarsi di quanto il giorno fosse progredito nel suo troppo
    lungo corso, ahimè si, troppo lungo per lèi I
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    Manca un' ora perchè il sole vada a coricarsi nei monti, le ombre allungate del faggio, che vegeta dinanzi all' uscio della pavera capanna, ne avvertono Lena, la quale si ravvolge smaniosa nei candidi lini del suo tettuccio.
    « Presto fratcl mio, dammi la veste azzurra: il sole già cade ed io debbo salire sjlla vetta del Monte. »
    « Sorella, tu sei malata e deliri: tu non puoi salire sulla velia del monte.
    « Presto, fratello, dammi la vesto azzurra, chè il sole sen fugge.»
    E Lena indossò la veste azzurra; ma nell' indossarla due lagrime le solcarono lo affinile goto poiché vide, che le stava Iroppo larga al seno.
    « Fratel mio, dammi la pezzuola bianca ed il mio spillo d' argento.
    « Ecco lo spillo d' argento - Sorella, la pezzuola bianca è tinta di sanguigno.
    « Dammi fratello, dammi la pezzuola bianca tinta di sanguigno - Il Signore guardando dall'alto sul mio capo, lo vedrà e leggendo gì'indeleb.li caralleri impressivi, forse si ricorderà di mandarmi chi li tracciava. »
    E ciò detto, piegata in tre la bianca pezzuola se la pose
    i - ¦ - - v -ii;
    e vanlo di questa Città.
    Y
    Dall' Eco del Tronto rileviamo essere stato bello forbito ed applaudissimo il discorso del Prof. Spalazzi col quale fu inaugurata l'esposizione del quadro.
    Cronaca Abruzzese
    Chieti.  Il Prefetto Bertini, pria di lasciare la provincia teatina, prende commiato dagli abitanti che egli ha sgovernati dal 67 in poi. Noi 1' abbiamo combattuto, e l'autore delle Jet-fere teatine che han fatto tanto rumore negli Abruzzi, continuerebbe ancora, se oggi ciò non fosse inutile. Ma per far conoscere al partito
    al capo e fissatala su con lo spillo d'argento, uscì dalla! capanna e con piè mal fermo avviossi verso la macchia ver- I gine foresta alle falde del monte
    Alla vista di'quel luogo di cari ricordi, Lena, la povera I Lena pianse a caldissime lagrime-ed il pianto le fu di I giovamento, poiché, animala come per incanlo da vigore no-1 vello s' inerpica su d'una roccia e preso 1' angusto sentiero I che mena al monte, corre, corre verso 1' erta ia fin che j giunge alla vetta.
    VI.
    11 sole già si è nascosto dietro i monti ed un venticello gelato misto ad un' umida brezza d' autunno molesta col suo soffio gli abitanti delle terre sparse qua e là presso le falde del nevoso Monlecorno,
    I villani hanno abbondonato i campi e si sono racchiusi mi loro abituri.
    Per 1' intera campagna altro non s' ode che il monotono tintinnio di qualche armento in ritardo o il lontano ululare di qualche lupo uscito assai per tempo dalla sua tana-forse perchè spinto dal prepotente stimolo della fame.
    Ma a chi avesse ben teso l'orecchio non sarebbe sfuggito il rumore, sempre più crescente, prodotto dall' eccelerato scapitar d' un cavallo lanciato a tutta briglia per quell' inegw terreno.
    Se non che ad un trailo cessa il rumore.
    Cavallo e cavaliere sono giunti presso una capanna, dinanzi a cui è un faggio e sotto il quale su un fanciulla clic piange.