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HATRIA = ATRI

Dr. Luigi Sorricchio
Tipografia del Senato Roma , 1911, pagine 324

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   214 LIBRO IV - HATRIA MUNICIPIO E COLONIA ROMANA
   uscente dal ceto decurionale. Le ammissioni al consiglio-senato erano deliberate dal consiglio stesso.
   Segni della munificenza d'Augusto sono forse in Atri i restauri delle piscine limarie, i ruderi di un tempio sontuoso sul colle oggi detto dei Torroni, ed altri che il materiale onde sono formati ed alcuni segni epigrafici designano essere presso a poco dell' età augustea. 1 Però nessuna dedica onoraria ce ne dà la certezza. Possiamo invece sicuramente essere grati a lui per i restauri alla via Salaria, deliberati per senatoconsulto nell' undecimo suo consolato. 2
   L'anno 14 segnò la morte di Augusto e di Q. Fabio, patrono della nostra colonia. Tra le due morti corse voce che vi fosse connessione. Si volle e si susurrò in Roma che Augusto volesse revocare l'adozione di Tiberio, nominando in suo luogo il nipote ex-filia, Agrippa Postumo, esule per i maneggi di Livia nell' isola di Pianosa. Depositario di questa sua intenzione segreta sarebbe stato il nostro senatore Q. Fabio Massimo, il quale l'avrebbe rivelata alla moglie Marcia, che a sua volta ne avrebbe fatta consapevole Livia. Questa non volle naturalmente perdere il frutto di tutti i suoi intrighi, che era stato l'adozione di Tiberio, nel momento di raccoglierlo maturo. Simili segreti trapelati, si sa, non portano fortuna in corte, e, spesso, neppure fuori. E non la portò quello di Fabio nè a sè stesso, nè all' adottante, nè all' adottando, se, come si sospettò, tutti e tre furono spenti (per Agrippa è certo). Certo essi morirono a breve distanza 1' uno dall'altro.3 Il primo fu Fabio, poi Augusto, 1' ultimo il giovane Agrippa, fatto trucidare in Pianosa prima di comunicare al popolo la morte di Augusto, avvenuta in Nola nel mese che da lui si disse Agosto.
   1 Notìzie, degli Scavi, anno 1880.
   2 Mommsen, Ephem. Epigr. II, pag 199.
   3 Cfr. Tacito, Ann. I, 5; Dione, LVI, 29-30; Plutarco, Della garrulità, 11.