Stai consultando: 'Della Storia di Teramo. Dialoghi sette', Mutio deì Mutij

   

Pagina (143/417)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (143/417)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Della Storia di Teramo.
Dialoghi sette
Mutio deì Mutij
Tip. del Corriere Abruzzese, 1893, pagine 356

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
Si ringrazia Fausto Eugeni per aver messo
a disposizione la copia del volume.

[Home Page]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   - 84 -
   si ratinarono mille e più Giovani armati ed unitamente andarono verso detto Castello. E sebbene D. Berardo e suoi ebbero avviso dell'andata degli Teramani in tempo di poter salvarsi, nondimeno ritenuti dalla loro audacia, o piuttosto dai peccati si fortificarono nelia ritirata del detto Castello, ove era, ed anco è oggi la Chiesa di S. Silvestro, aspettando i Teramani. I quali subito, che giunsero al luogo, pei' non dar tempo al tempo, diedero un sì feroce assalto, che avanti l'ora di terza D. Berardo, e Compagni furono debellati, ed uccisi tutti, fuorché otto, i quali volontariamente si resero ai Teramani, salva la vita, e venti ne furono per forza presi vivi. L'assalto fa sanguinoso anche per i nostri, essendovi morti dei Principali, tra quali due Giovani Romani, familiari del Vescovo Arcione, del quale poco stante ragioneremo. I corpi di 1). Berardo, e del Fratello furono riportati nella Città, e strascinati quasi per tutte le strade, e poi lasciati per due giorni nella Piazza del Mercato, ed in ultimo sepelliti nel fosso fuori della Porta Reale. I venti presi vivi furono l'istesso giorno appiccati quattro per ciascuna delle porte principali della Città e lasciati per due giorni così appesi , e poi seppelliti nei fossi alle porte più vicine. E così ad un tempo ebbero fine i giorni, l'audacia, ed il temerario ardire di D. Berardo e Fratello.
   Rol). Veramente siccome il fuoco non smorzandosi mentre è picciolo sarebbe atto ad abbruggiare una Provincia , non che una Città, così non castigandosi i tristi, mentre hanno poca forza, divenendo insolenti, e crescono in loro di tal maniera l'audacia, e la temerità, che non prezzano nè temono Iddio, nè la giustizia , nè chi l'amministrano.
   Giul. Il medesimo si può dire di un Medico, il quale se subito con i debiti rimedii non soccorre alla piaga di un Infermo , quella si viene ad incancarire, onde poi per sanarla, è costretto ricorrere alle scarniflcazioni, ed al fuoco con dolore e danno del povero infermo. Così i Governatori de' Popoli, se con prestezza non castigano i piccoli delitti, i poveri, ed innocenti Popoli ci vanno di mezzo, essendo a vicenda oppressi, ora da Malandrini, ed ora da Masnadieri.

Scarica