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Della Storia di Teramo.
Dialoghi sette
Mutio deì Mutij
Tip. del Corriere Abruzzese, 1893, pagine 356

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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Si ringrazia Fausto Eugeni per aver messo
a disposizione la copia del volume.

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   sto ingannato, il quale avendo gran speranza di lui, che liberasse l'Italia da ogni servitù, per nominarlo, gli scrisse un'epistola latina, la quale va con altre sue, è quella canzona, che comincia: Spirto gentil, che quelle membra reggi. Sarei assai lungo, se volessi raccontare tutti i successi, bastavi sapere solo a proposito del nostro ragionamento, che la sua vana Signoria durò men di quindeci mesi, perché essendo venuto in discordia con alcuni principali Cittadini Romani, fu miserabilmente ucciso.
   Rob. Poco tempo godè costui la sua tirannide, ed il castigo fu poco conforme alia sua temerità.
   Giul. Tutti coloro, che anno cercato di opprimere le proprie Patrie, per giusto giudizio di Dio sono morti vituperosamente. E potrei, come per passaggio raccontare i pessimi fini di Pollicrate tiranno di Samo, di Dionisio di Ierone Siracusano, di Fallari di Agrigento, e di alcuni moderni della Città d'Italia, che li lascio, per non tediarvi, ma non vò lasciarvi di raccontare i fini di tre Tiranni di Luoghi, e di tempi prossimi a Noi. H primo sarà di Rurotto di Fermo, il quale essendosi con tradimento, e con occisione di alcuni cittadini eziandio del zio impadronito di sua Patria, ed avendola tirannicamente posseduta sol un anno fu dal Duca Valentino fatto strozzare in Sinigaglia l'ultimo giorno dell'anno 1502. Il secondo di Buc-calino Guzzone, ed essendosi nel medesimo modo insignorito di 0-simo, similmente sua Patria, al riacquisto della qnale il Papa, mandato un'Esercito, volse prima veder impiccato un suo Nipote, che restituire la Città, ed in ultimo fu anch'egli condannato alla forca, ed essendo condotto a quella, e stando su la scala, disse, che un suo pari non meritava morir per mano di si vii Uomo, qual era il Boia, ed avendo ciò detto, si gittò giù da se stesso, e resto impiccato. Il terzo sarà d'Altobello da Todi, il quale fu di tutti atrocissimo, perché essendo preso fu spogliato nudo, e legato sopra una tavola, ed acciò che ognuno lo potesse offendere, ed a suo modo prenderne vendetta, fu portato in mezzo della Piazza di Todi, ove furono vedute alcune donne, madri de figli uccisi da lui strappare con denti la sua carne, ed altre vedove, ch'erano state private dei mariti, morderlo in più parti del corpo, ed anco gli uomini per far vendetta, chi dei padri, chi dei fratelli, e chi dei figli morti da lui, gli ficcavano stelletti negli orecchi, ed in altre parti del corpo ed

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