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Della Storia di Teramo.
Dialoghi sette
Mutio deì Mutij
Tip. del Corriere Abruzzese, 1893, pagine 356

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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Si ringrazia Fausto Eugeni per aver messo
a disposizione la copia del volume.

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   partiti (1). Era a quel tempo capo del Reggimento nella città Marco Ranerio (tìglio di quel Giacomo, che disaventuratamente fu morto nella lagrimabile occasione fatta il Gennaio del 1420) il quale raccolse il Rè con quel miglior modo, che la qualità del tempo gli concedè. Ed avendo udito, che Giosia, che seguiva Alfonso, aveva intenzione, ritolto, che fosse Teramo agli Sforzeschi, riaverlo in dominio, ed essendo egli affezionatissimo della libertà della patria, ebbe in pensiero di parlare al Rè. E dicendo questa sua intenzione ai compagni suoi del Reggimento gli fii da lutti con evidentissime ragioni dissuaso, parendo cosa difficile, che il Rè volesse piuttosto favorir la città, che un suo Barone, il quale dieci, e più anni in ogni fortuna aveva seguito. Ma il Ranerio, rispondendo Audaces fortuna iuvat, Umidoscjue reppellit, ci volse andare. Ed appresen-tatosi avanti al Rè così cominciò a dire: « Avendo Iddio nostro Signore, serenissimo Rè spirato nella mente della maestà vostra di venire a visitare questa povera città, e liberarla dalla tirannidede-gli sforzeschi, ritrovandomi io uno del Reggimento di essa, mancherei del debito mio, se non li narrassi le sue calamità, e miserie. Sappia dunque vostra Altezza Serenissima, che questa città fù distrutta dall'esercito del Rè Ruggiero Normando, non già per fallacia dei cittadini, ma per voler troppo ostinatamente servare la fedeltà all'Imperator Corrado loro antico, e naturai signore. Essendo succeduto a Ruggiero nel regno Guglielmo suo figliolo, il Vescovo Guidone pastore della città, al tempo del quale fù distrutta, ottenne per privilegio del perduto Rè non solo farla riedificare, ed abitare, ma in dono essa città, e suo territorio gli diede, e per cento, e più anni i Vescovi suoi successori continuamente ne sono stati padroni, ponendovi gli ufficiali a somiglianza degli altri Baroni del Regno. Succedendo poi un Vescovo di ottima vita, ed amorevolissimo de cittadini donò, e rinunciò per atto pubblico alla città ogni giurisdizione temporale, che in essa aveva, lasciandola nella demaniale libertà, e già per molti anni venne sempre crescendo il Popolo di ricchezza, di riputazione, e di potenza. Ma in progresso di tempo
   (1) Non venne Alfonso, mandò altri, a liberare le nostre terre. V. Palma. Stor. Voi. II.

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