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Della Storia di Teramo.
Dialoghi sette
Mutio deì Mutij
Tip. del Corriere Abruzzese, 1893, pagine 356

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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Si ringrazia Fausto Eugeni per aver messo
a disposizione la copia del volume.

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   Acquaviva figliolo di Giosia. I! Re di giorno in giorno aveva avviso di questi motivi, ma li dissimulava, non lasciando per ogni minima occasione di scrivere al principe lettere amorevoli, e riceverne da lui, che non men ) del Re sapeva simulare, e dissimulare. Ma non poteva fare di non maravigliarsi, essendo il principe zio carnale della Regina sua moglie, che si fosse opposto a lui , non potendo considerare cagione, che lo stringea a tal motivo. Onde un giorno, per chiarirsene fe dimandare di questo da sua parte il principe, il quale rispose, che non per altro egli si era partito dall'amicizia del Re, e faceva quei motivi, se non perchè non voleva vedere le figliole, ed i generi suoi poveri; ritenendo il Re fuori di ogni dovere li stati di Calabria ad Antonio Centiglia suocero di sua figlia , ed a Giosia d'Acquaviva padre di Giulio Antonio suo genero li slati d'Apruzzo. Avuta il Re questa risposta, la fe riportare in Consiglio, nel quale furono diversi i pareri, dicendo alcuni esser ben fatto per la quiete de! Regno restituire questi Stati forse tolta per colera del Re Alfonso, ed alcuni altri il contrario, e che il Principe simulatamente per dar colore alla sua ribellione, con ciò si scusava. Ma il Re avendo più riguardo all'utile universale, che al particolare, ed acciocché non si dicesse esser restato per lui il tenere il Regno in quiete, si convenne col principe, e volse, che al Centiglia fossero restituiti Cotrone e Catanzaro, ed a Giosia. Teramo Atri, e Siivi. L'avviso di questa volontà del Re sebben diede allegrezza ad alcuni particolari di Teramo, all'Universale però apportò dolore incredibile; onde ragunato il parlamento, e salito uno in rinchiera, disse: Il parer mio Signori e Padri, si è di dire in questo fatto che non obe-diamo al mandato del Re, e potersi ciò fare senza nota di fellonia, perchè siccome il Re manca a noi di sua parola, rompendo a privilegio, nel quale pochi mesi addietro promise ( recitando l'istesse parole del privilegio) di non mai, nè per alcun tempo vendere, nò per mutare, né infeodare, nè in governo dare, nè loco pignoris consegnare, nè per alcun modo alienare a persona alcuna dirette, rei indirecle, ma tener sempre questa citlà sotto ii demanial gremio di Sua Maestà, cosi noi con ragione, e senza rompere il giuramento di fedeltà, potremo acremente resistere. Ma un altro con più prudenza disse, che si dovesse mandare di nuovo oratori al Re con i transunti di ambidue i privilegii. ne' quali si promette la demanial

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