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Cristoforo riI Catarina. Andati in Puglia trovarono il Principe in campagna non discosto da Spinazzola sotto un padiglione, e fatte le debite riverenze, e mostrate le lettere di credenza, Marco non dando luogo, né tempo ai compagni di poter pur una parola dire, rese al principe le debite grazie, e ( non avendo ciò in commissione ) il pregò, che avesse fatto dare il possesso de'la città al conte G-iulio suo genero, signore molto desiderato, ed amato da tutti i cittadini. Ma il conte, che ivi stava presente, denegò, anzi ingenocc-hiato ai piedi del principe, disse, che non si facesse torto a Giosia suo padre, il quale un'altra volta n'era stato padrone: e eh' egli in modo alcuno, vivente il padre voleva tal signoria accettare. E così il principe conoscendo la buona intenzione del genero, ordinò, che i pri-vilegii si spedissero in nome di Giosia. Or pria che Giosia venisse in Teramo, ci venne il Viceré della Provincia commissario deputato dal Re a dare la possessione della città, il quale nel pubblico parlamento mostrò il privilegio, poi confortò, ed esortò tutti, a non controvenire alla volontà del Re se desideravano evitare la regia indignazione. Gli fu risposto dal cancelliere in nome di tutto il parlamento, che l'Università accettava, e si poneva sopra la testa il privilegio del Re, offerendosi ubbidire a quanto S. Maestà comandava. Ed il giorno seguente 18 maggio 1459 se ne venne Giosia in Teramo, accompagnato da molti signori, e tra gli altri, che ho potuto trovare scritti dai cancellieri, dal principe di Taranto, e dal conte Giacomo Piccinino. Fu Giosia ( essendo incontrato dal magistrato al ponte di Tordino ) ricevuto a cavallo sotto un baldacchino di velluto verde, guarnito di frangia d'oro, portato da sei signori del Reggimento intorniato da dodici Palafrenieri eletti dall'Università, de quali era capo Marco di Cappella, andando avanti in processione Preti, e Frati pontificalmente vestiti cantando il Te Deum laudamus, ed altri ecclesiastici Inni, ed una moltitudine di fanciulli avanti, e per intorno con le palme di oliva in mano gridando Duca Duca, Viva Viva il Signor Giosia: ed arrivati alle scale della Chiesa Catedrale, smontò da cavallo, ed andò a fare orazione all'altare maggiore ed ivi dai signori del Reggimento gli furono date le chiavi della città, poi rimontato a cavallo, andò a smontare alla Cittadella, ove da Marco-di Cappella gli fu tolto il cavallo, e vi montò sopra, lasciandosi vedere, come trionfante per tutte le strade della