Percorso interattivo

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- Carro agricolo
- Il lavoro nei campi

L'organizzazione della mostra è stata curata dall'Associazione Culturale "pensieri liberi" con il patrocinio del Comune di Silvi, della Provincia di Teramo e della Regione Abruzzo


Silvi Alta

Giro per il paese
Vicolo Nicola Fuschi
Silvi ricorda...


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Comune di Silvi (sito istituzionale)
Proloco di Silvi

Organizzata dall'Associazione Culturale "Pensieri Liberi" si è svolta a Silvi Paese da 21 al 25 luglio 2006 la VIII Mostra dell'Artigianato "Arti e Mestieri a Castel Belfiore" che ha ospitato numerose Botteghe Artigiane e le Mostre degli Attrezzi Agricoli e del Lavoro nei Campi


         La straordinaria continuità dei saperi, delle conoscenze plurimillenarie basate sull'osservanza dell'ambiente, dei fenomeni atmosferici, dei ritmi delle stagioni si tramandano nel tempo come bene prezioso dell'uomo.
         I lavori dei campi nella condivisione collettiva costituiscono così importanti momenti di socializzazione durante i quali, con canti conviviali e abbondanti libagioni venivano rinsaldati sodalizi e vincoli di parentela.



Il lavoro nei campi. In un recente passato, alle luci dell'alba, quando i primi raggi del sole squarciavano le ombre della notte, si usava radunarsi nella piazza del paese per formare le "squadre" dei mietitori.
         In quel periodo anche il fabbro aveva avuto il suo bel da fare. Le diverse falci arrugginite dal riposo di un anno, erano state accuratamente limate.
         Oltre alla falce, i mietitori, si erano muniti di ditali di canna che servivano a proteggere le dita della mano sinistra con la quale reggevano i fasci di spighe falciati dalla destra e, un fazzoletto colorato che mettevano tra la nuca e il cappello per ripararsi dalla polvere e dai moscerini.
         Ad un tratto, nella piazzetta, il vociare si attutiva, imminente era la partenza per i campi e tutti i mietitori sapevano che una faticosa giornata di lavoro li aspettava tra la calura estiva. Il sole di giugno, infatti, si levava alto nel cielo e i suoi grandi raggi riscaldavano la campagna circostante, le spighe ondeggiavano dolcemente e, nell'aria il profumo del frumento si diffondeva insieme al canto dei grilli e delle cicale.
         I mietitori si disponevano in fila, infilavano le dita nelle cannucce, legavano alla nuca il fazzoletto e chini affrontavano il campo da mietere.
         Con la mano destra tenevano la falce e con la sinistra reggevano il grano mietuto che legavano poi con lo stesso grano e successivamente lo deponevano per terra, uno sopra l'altro fino a formare un covone, che veniva posto in piedi, con le spighe rivolte verso l'alto. Le donne, intanto, andavano su e giù dai pozzi ad attingere acqua fresca in recipienti di terracotta per ristorare gli uomini e, a metà mattinata, portavano loro la colazione e il vino fresco. Dopo questa breve pausa, il lavoro riprendeva intenso e faticoso.
         I movimenti degli uomini impegnati nella mietitura si ripetevano ritmici fino a sera, quando, nonostante la stanchezza, si dava inizio, dopo la cena, a canti e balli. Il raccolto era ormai sicuro e le aie si vestivano a festa. Con la stessa dedizione e spirito di sacrificio ma in tempi diversi, le medesime persone, alle dipendenze di un caposquadra trascorrevano alcune settimane d'autunno nei campi dedicando così un'altra stagione della loro vita alla raccolta delle olive.
         Le donne, sedute a terra, faticosamente, raccoglievano le olive via via cadute sul terreno bruno, mentre gli uomini, in equilibrio sui pioli di una scala di legno, appoggiata agli alberi, con la sinistra prendevano un rametto e con la destra facevano cadere i frutti nella cestella di vimini legata alla cintola dei pantaloni o alla corda girata intorno alla vita.
         Il freddo pungente preannunciava l'imminente arrivo dell'inverno, ma quelle persone con tenacia non si fermavano, sfidavano il tempo e le già corte giornate autunnali.
         Durante la pausa di mezzo giorno, le donne intonavano canti antichi.
         Le olive, dopo la raccolta, venivano cautamente sistemate nei sacchi e così, trasportate con carri trainati da buoi fino al frantoio o, come avrebbero detto loro, "lu trappit" della zona.
         Là venivano lavorate in giornata con una macina mossa da uomini e animali. La pasta veniva messa poi nei fiscoli e spremuta sotto presse di pietra. Solo dopo avere riportato l'olio nella propria casa tutti si sentivano in grado di affrontare il freddo inverno.
        

"Ai ragazzi di ieri che hanno trovato nel duro lavoro
l'essenza della vita e la gioia di stare insieme"


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