I teramani nella Grande Guerra.
Il conflitto raccontato dalle pagine del Corriere Abruzzese
Anno 1918


Al fronte. La morte di un comandante d'un battaglione della marina

           
           Dal fronte
           Sul basso Piave, davanti a Venezia, è morto combattendo il Comandante d'uno dei battaglioni della Marina a terra: il tenente di vascello Andrea Bafile. La morte gloriosa corona e sublima una vita dedicata intera alla patria: poi che questo ufficiale di mare, caduto nella guerra di terra, tra i suoi marinai trasformati anche essi in fanti, era di quelli, veramente, che intendono e praticano la professione delle armi come un apostolato: non preparazione alla guerra, soltanto, all'offesa e alla difesa, ma educazione forte e nobile di uomini, tèmpera di corpi sani e valenti, tèmpera di animi alla disciplina del dovere: scuola della nazione giovine per la conquista del migliore avvenire. E, veramente, nell'esercizio della sua professione, Andrea Bafile parve avesse ognora presente la grande verità e il monito solenne concettosamente contenuti nel dittico che il Carducci dettò per motto della vecchia Francesco Ferruccio, e che è fuso nel bronzo, sulla poppa della nave:
           Qui la virile età l'ardir prepari.
           E che sia patria l'util plebe impari.

           Andrea Bafile era abruzzese. Nato il 7 ottobre 1878, era entrato in servizio nel 99 ed era stato promosso guardiamarina. Era uomo semplice e austero: di poche misurate parole, nutriva in silenzio, con tanto più ardore, con tanta più pertinacia, i suoi entusiasmi e le sue fedi. Era infaticabile e calmo; era in guerra, un eccitatore fervidissimo di uomini all'ardimento, condottiero sempre più animoso che ciascuno dei suoi uomini. Nei mesi della guerra percorse l'Adriatico sul naviglio silurante, in lunghe travagliose crociere. Poi, aveva comandato un treno armato su la sponda adriatica, per la difesa delle località costiere contro le incursioni navali e aeree. Poi, aveva preso parte come pilota marittimo e capo degli esploratori alla spedizione e al bombardamento di Cattaro, dell'ottobre scorso, l'audacissima impresa che resta una delle più grandi della guerra dall'aria. Fu in questa occasione che si strinse tra Bafile a Gabriele d'Annunzio la cordialissima amicizia che morte dell'uno, oggi, si interrompe; ma, sopratutto, sanguinosamente e superbamente esalta: per la fiamma che entrambi ugualmente li accendeva che l'uno doveva consumarne, il poeta e il taciturno si compresero interi, e furono fratelli d'arme.
           Chi conobbe Bafile, in questi ultimi tempi, afferma: “Dopo Caporetto, nessuno l'ha mai visto ridere, nemmeno agli scherzi più rumorosi di una messa da campo”. Aveva ottenuto il comando più ambito da lui, in questo momento: di un battaglione di marinai al fronte di terra; e aveva ottenuto un battaglione famoso che ebbe già nome dal comandante Pietro Starita, famoso perché, solo insieme con una compagnia di mitraglieri alpini, salvò e rafforzò la nostra difesa verso le foci del Piave, costituendo e tenendo contro reiterati assalti di prevalenti forze nemiche la testa di ponte di Cortellazzo. E appunto a Cortellazzo morì, colpito da una fucilata, il nuovo comandante del battaglione: Bafile. Il fatto accadde l'altra notte. Bafile si era proposto di compiere un'importante rischiosissima ricognizione su la sponda del Piave, su la sponda — punge al cuore ricordarlo! — che occupano gli austriaci. Uscì a notte fatta dalle nostre linee, pochi uomini.. Imbarcò su un sandalo, e traghettò all'altra riva. Scese a terra, e scomparve con il suo animoso drappello, nel folto delle canne superanti le siepi di filo spinato tese dal nemico, eludendo la vigilanza delle vedette nemiche, inoltrandosi tra le mascherate insidie degli appostamenti di mitragliatrici. E seguì tutta la ricognizione che s'era proposta. Tornava al fiume, con i suoi uomini, quando le vedette austro-ungheresi scoprivono la pattuglia, diedero l'allarme, aprirono il fuoco. Imbarcò per il ritorno, sotto un'inperversare furioso di raffiche di mitragliatrici, bombe a mano. Dalla riva nostra, dalle nostre trincee, i marinai protessero con il fuoco il ritorno della leggera imbarcazione con i loro compagni, attraverso la foce del Piave. La pattuglia reduce aveva appena preso terra alla nostra riva, e stava rientrando nelle trincee, quando il comandante fu colpito al fianco da una pallottola di fucile. Cadde su la terra umida della sponda. Morì subito.
           L'hanno sepolto nel piccolo cimitero dei marinai ch'è nell'isola tra il Piave Vecchio, il Piave Nuovo e il Sile, poco lontano da Cortellazzo: umile disadorno cimitero, ma degno d'essere onorato come un santuario: là riposano i morti della Marina a terra, morti perché Venezia fosse ancora una volta salva e libera e nostra sempre. (M.B.)