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      E se pure alcuni degli ottimi ve ne furono, maculati di corte; come Moliere, Corneille, Racine, Ariosto, Tasso, ed altri pochi, che la sublimità del lor temere e adulare colla sublimità del loro immaginare e scrivere rattemprarono; convien pur confessare, che per tutto poi dove essi possono mostrarla, traluce la loro indegnazione contra le circostanze, contra i principi, e contra se stessi; spessissimo deplorando la necessità che gli avea fatti schiavi. Ma, siccome chi legge tien conto all'autore del solo suo libro, e non di veruna sua privata circostanza; (poichè se egli non avea la libertà dell'alto scrivere, avea pur sempre quella del nulla scrivere) da ciò ne risulta, che codesti autori vengono giudicati minori di se stessi, appunto di quel tanto che vilmente sagrificarono al proprio timore e all'altrui forza; ciecamente vendendo il loro intelletto, il lor tempo, i loro costumi, a quegli insultanti benefattori del corpo loro, ma micidiali ad un tempo fierissimi della lor fama.
      Io dunque penso, e conchiudo; che il letterato tanto più va perdendo delle sue intellettuali facoltà quanto più accresce egli stesso la sua dipendenza, qual ch'ella sia. E per contrario, conchiudo che tanto più l'animo, il pensiero, e lo scrivere gli s'innalza, quanto egli più si fa libero e sciolto da ogni qualunque risguardo o timore; toltone però sempre quello, di non offendere le giuste leggi e gli onesti costumi.
      Ma il letterato potrebbe pure ricevere un'altra protezione assai meno insultante, qual è per esempio quella di un suo eguale ed amico: ora, perchè dunque non potrà egli riceverla dal principe, quasi da un suo amico privato?


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165

   





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