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      ittori saranno, perchè dal solo sublime e natural loro impulso sforzati erano a divenire scrittori.
      Quindi allora il veramente epico poeta, che in sublimi versi una impresa veramente sublime piglierà a descrivere, sceglierà certamente piuttosto di cantare la liberazione di Roma da Bruto, che quella di Gerusalemme da Goffredo. Con questa scelta, verrebbe egli a vendicare da prima l'onore dell'arte sua; perchè dei sommi epici poeti, nessuno finora ha tolto argomento da popoli liberi, se non in parte Omero, a chi considera quei Greci come molti popoli spontaneamente riuniti. Ma, quanta maggior grandezza ne ridonderebbe ad un tema, di cui, in vece di Agamennone re, fosse anima e capo uno Scipion cittadino? sarebbe, ad egual eccellenza, di tanto superiore un tale poema, di quanto ad ogni altro popolo fu superiore il romano. Ma Scipione, cantato da Ennio con ruvido carme di lingua ancor non perfetta, è perito; Augusto dalla divina tromba di Virgilio ottien quella vita, che Scipione solo meritava. Si osservi tuttavia nell'Eneide, che Augusto non è, benchè paghi, l'eroe di quel poema, nè lo poteva pur essere: Scipione all'incontro, per la semplice forza della sua virtù, potea e può veramente, accendere di se un epico poeta, e ampiamente rimunerarlo colla semplice fama d'amendue. Che la parola EPICO, parmi che debba importare alti eroi, alta impresa, alti effetti, altamente pensati e descritti; e qualunque di queste altezze vi manchi, io credo che l'epico cessi. Quindi il moderno epico e libero poeta, invece d'intrudere nel suo tema episodiche lodi di Augusti, o di altri principi meno possenti ancora e più vili, vi inserirà le lodi dei veri eroi, degli illustri cittadini passati; sempre o poco o nulla dei viventi parlando, per rispettare ad un tempo e l'altrui modestia e la propria.


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Del principe e delle lettere
di Vittorio Alfieri
Dalla Tipografia di Kehl
1795 pagine 165

   





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