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      Alla Signora
     
      GIACINTA MARTINI
     
      Cara Sig.ra Giacinta,
     
      Dal giorno che sono stato a desinare da lei, ne son passati parecchi che non l'ho vista; ma non n'è passato uno, che io non mi sia detto la mattina: stasera anderò a vederla di certo; ma poi durante il giorno la posta m'ha portato tanto lavoro, che non mi son potuto muovere neanche la sera. Ed Ella lo sa, e non se l'ha per male: poiché non dubito che si è ricordata di me, e avrà detto tra sé e sé: Certo quel Bonghi sarebbe venuto assai volentieri; ma chi sa quello che glielo ha impedito ed è invece rimasto a casa di mala voglia a buttar giú parole e pensieri.
      È proprio cosí, com'Ella ha pensato. Di mala voglia, com'Ella s'immagina. Giacché talvolta anche a me par che sia troppo; e che, in luogo di scrivere e correggere, potrei con beneficio mio e del prossimo svagarmi. Ma ciascuno ha la sua condanna quaggiú; ed è ancora virtú, forse, l'accettarla silenziosi e l'espiarla volenterosi.
      Pure, credo d'averglielo detto piú volte; e mi permetta che glielo scriva; giacché a me piace il farlo, e a Lei non può essere rincrescevole - tanto è buona con me, - e se v'è cui non piace, ci lasci parlare fra noi due. Non è il molto lavorare che mi dà pena; anzi mi dà gioia, e gli devo questo, e non è poco, di non sentire mai tedio, ch'è il gran debilitante d'ogni virtú umana. Ma questo m'affatica, che io devo talora passare da un soggetto a un altro opposto addirittura, innanzi che mi sia stancato del primo, e che nell'animo mi sia nato l'amore del secondo.


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Arnaldo da Brescia
di Ruggero Bonghi
pagine 61

   





Sig Giacinta Bonghi