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      Hanno, quindi, la parola veemente, infiammata; né guardano chi o quant'alto ferisca. Poiché sentono che non v'ha persona o instituzione cosí alta, che la mèta cui mirano, non le oltrepassi. E siffatti erano del pari i due uomini, che si sono visti in queste pagine l'uno di contro all'altro, Bernardo e Arnaldo.
      Però vi corse tra i due questa differenza grande, e che spiega il loro diverso destino. Bernardo morí il 12 gennaio del 1150, ammirato, venerato, rimpianto da tutto il mondo cristiano; Arnaldo morí in un giorno ignorato, cinque anni dopo, su una forca, imprecato da molti, e dai pochi settarii suoi pianto con lacrime amare e nascoste. È vero; ma morí cosí anche Cristo. Né avrebbe giovato alla sua fortuna ch'egli fosse vissuto qualche giorno, qualche anno di piú. Certo qualche giorno dopo Federico Barbarossa fu incoronato in San Pietro da Adriano; e i Romani, la cui domanda di rispettare le franchigie della città, egli aveva respinto con atti e parole altere, - come suole chi sente di potere oggi, a chi gli ricorda d'aver potuto ieri e presume, dimentico dell'abbiezione presente, trarre da questa vana memoria un diritto, - i Romani, dico, erano si venuti arditamente alle mani coi Tedeschi e gl'Italiani che seguivano l'Imperatore, ma n'avevano avuto la peggio e di gran lunga. Qualche mese, qualche anno dopo le intelligenze tra Adriano e Federico si guastarono; e questi forse, al sentimento di commiserazione che provò a udire la morte d'Arnaldo, uní quello di tardo pentimento; forse pensò che Arnaldo avrebbe potuto essergli utile strumento contro il papato: dico forse, perché la spada di quello aveva una punta anche contro l'impero.


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Arnaldo da Brescia
di Ruggero Bonghi
pagine 61

   





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