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      I popoli del Napoletano e del Siciliano furono, dunque, chiamati l'8 ottobre a votare il 21 per l'Italia una ed indivisibile - due parole lasciate nella formola, a memoria, consolazione ed indizio dei partiti ripugnanti al plebiscito, le quali dovevano loro servire e servirono a contrastarne gli effetti poi. - Un decreto che il prodittatore di Sicilia aveva promulgato, il 5, per la convocazione di un'assemblea ordinata a preparare il voto del popolo, rimase vuoto di effetto. Cotesti due decreti, raffrontati insieme, indicano in quale indirizzo era trascinato il Dittatore dagli amici suoi; e quale poi fosse quello, in cui la calma e potente iniziativa del Conte l'inducesse a mettersi. Il Cavour e il Garibaldi provarono, quella volta, come, uniti da uno stesso fine, sanno servirsi a vicenda, appunto perchè restano avversarî, nè l'uno cede all'altro. Se il conte Cavour si fosse arrestato avanti alla baldanza popolana del Garibaldi, avrebbe perso lui e l'Italia.
      IV.
      Così, mercè l'abile e coraggiosa politica del Conte, ogni pericolo di audacie soverchie e di contrasti di governo, cessò nell'Italia meridionale. Vittorio Emanuele, come faceva già di nome, cominciò a regnare di fatto da Susa a capo Peloro.
      Quegli i quali avevano a reggere, più o meno immediatamente, così largo tratto di paese, non trovavano opera molto facile a compiere. L'Italia meridionale era scompigliata tutta. I vincoli dell'amministrazione che legavano le province alla capitale disciolti. La smania di profittare a beneficio proprio del disordine pubblico, suscitata ed eccitata in tutti.


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Camillo Benso di Cavour
di Ruggero Bonghi
1924 pagine 116

   





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