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      Ma sotto il papato, sacerdozio cristiano armato, vi è il re Gallo, lo Spagnuolo, il Germano, il Veneziano, potentissimi signori sotto la medesima religione senza far eresie. La maggioranza del papa giova ai principi cristiani temperati di signoria, perchè agguaglia le loro differenze; è arbitro della pace e guerra giusta, e inclina colle arme alla parte che ha ragione, ed astringe a cedere chi ha il torto, o li unisce contro li nemici del cristianesimo, o li disunisce dai nimici; e contro ai buoni o tristi regnatori accomoda le cose loro e del cristianesimo.... Nè può sfrenar le sue voglie un principe che vive sotto una religione, la quale ha il sommo sacerdote armato che tenga maggioranza sopra lui.... Dunque la monarchia cristiana va declinando sempre, finchè arriva in man del papa.»
      Per mantenere la monarchia in questa religione, altri si sono dichiarati del tutto ministri del papa e liberatori, come Carlo Magno e Costantino; «ma i figli inimicandosi col papa mancaro. Altri vollero fare il papa senz'armi temporali, e fecero rovina più che acquisto, e nacquero Ghibellini e Guelfi, Papali e Imperiali; altri fecero eresia di Ario e di Lutero, come Arrigo VIII, ma tutti rovinaro come Jeroboamo e Acab. Giuliano tornò alla gentile e rovinò col vecchiume»91.
      Le stesse idee ribadisce nei Discorsi politici ai principi d'Italia: «Aggrandire ed esaltare il papato è il vero rimedio di rassicurarci di non esser preda del re di Spagna e di sostenere insieme la gloria d'Italia e del cristianesimo.... Talchè, per assicurarsi dal re di Spagna, devono gl'Italiani solo attendere ad autorizzare il papato con fatti e scritti e parole, perchè in questo sta la sicurtà loro... Per la sicurezza dei Stati e contra interni principi, è necessario il papato ricco e potente. Dippiù il papato non è principato peculiare d'alcuno, ma di tutto il cristianesimo; e quanto possiede la Chiesa è a tutti comune, e quel che donano i principi e le persone pie ai religiosi non è dare, poichè essi e i figli loro ponno diventar padroni di quel dato; ma è un mettere in comune e far tesoro per il bene pubblico.


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Gli eretici d'Italia
Volume Terzo
di Cesare Cantù
Utet
1866 pagine 895

   





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