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      Forse alcuni, raccogliendo parole sparse e avventate, lo denunziarono come cospiratore: lanciata una accusa, ogni scaltrito sa come sostenerla e darle apparenza di vero, al che singolarmente s'adoprò il fiscale Luigi Xarava, che essendo stato scomunicato, avea preso vendetta col far un processo di Clemente VIII e dei vescovi. L'assecondarono quei molti che sempre avversano chi ha ingegno distinto e opinioni non comuni; e difensore del Campanella fu sempre il papa. Il Giannone (L. xxxv, 1) sempre ricalcando il Parrino, dice che il Campanella aveva in Roma sostenuto lunga prigionia «per la sua vita poco esemplare, e anche per sospetto di miscredenza», dopo di che fu rimandato al suo convento di Stilo. Nulla di ciò risulta; e il nunzio pontifizio, dandone ragguaglio l'11 febbrajo 1600, non ne fa cenno: bensì che a quella sua azione non avea mai voluto dar nome di ribellione, «ma detto che volea fare repubblica la Calabria per mezzo delle armi e delle prediche, quando però seguissero i garbugli d'Italia, che lui si era presupposto». E in fatti, se macchinò, non dovea mirare a sovvertimento, bensì a organar il paese al modo della sua Città del Sole, ricongiungendo la legge di natura colla cristiana.
      Chiuso in prigione, senza libri, senza comunicazione, scrisse varie opere, lodate perchè d'un martire come l'intitolarono, ma dove la vanità è pari all'immensa inopportunità. Per riguardo al re lodava la Spagna: per riguardo al papa protestava della sua ortodossia; prometteva, se lo lasciasser libero, comporre libri che convertirebbero i Gentili delle Indie, i Luterani, gli Ebrei, i Maomettani: e in prova dice aver fatto un'esposizione del Capo VIII dell'epistola ai Romani, della quale moltissimo si giovano Calvinisti e Luterani.
      Lettere sue ultimamente pubblicate, se nulla aggiungono alla cognizione del suo intelletto, attestano un esaltamento che tocca alla pazzia, se non vogliasi perdonarlo alla sua smania di liberazione, stando «dentro una fossa puzzolente dove non vedo giorno, sempre inferrato e morto di fame e di mille afflizioni fra cinquanta leopardi che mi guardano.


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Gli eretici d'Italia
Volume Terzo
di Cesare Cantù
Utet
1866 pagine 895

   





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