Fra tanta divergenza d'accidenti e di dogmi, unico proposito conforme dei dissidenti era l'abolire le centralità pontifizia, opponendo le nazionalità alla cattolicità, le opinioni individuali alla unità della fede, subordinando la potestà ecclesiastica alla civile, cioè la coscienza al decreto, il diritto al fatto, la libertà alla permissione, il fòro interno all'esteriore.
Aveano tutto il torto?
Che l'autorità deva governare le opere, non già possedere i popoli, di modo che rimangano indipendenti i due poteri nell'ordine della propria competenza, l'aveva mal compreso il medioevo quando il potere, che unico sopravvisse della società, e che unico potea frenare la prepotenza de' Barbari e proteggere il popolo era l'ecclesiastico: onde ne nacque un diritto, assentito anche da quelli cui ponea limiti, e che difendeva i deboli o per podestà immediata e diretta, o per derivata dal pontefice138. Questo elevarsi de' pontefici sopra i sovrani anche pel temporale parve trascendesse il precetto del «Rendete a Cesare quel ch'è di Cesare»; i cesaristi non negavano il diritto canonico, bensì discutevano se dovesse essergli subordinato il diritto pubblico: e Dante, un de' monarchici più assoluti, prescriveva che illa reverentia Cæsar utatur ad Petrum, qua primogenitus filius debet uti ad patrem.
Via via però che i governi ripigliarono ordine e vigore, andavasi ritogliendo alla Chiesa quel che la necessità dei tempi v'aveva aggiunto di là dalla sua competenza essenziale divina: ma l'atto effettivo della Riforma consistette nel fare l'opposto, sovrapponendo il temporale allo spirituale fin a dimenticare di render a Dio quel che è di Dio. Le nazioni, cioè quei pochi che arrogansi di parlar in nome d'esse, non volevano più l'unità teocratica; volevano costruire lo Stato indipendentemente dalla Chiesa; e la protesta sembrò un legittimo sforzo per isvolgere l'inviolabilità della coscienza dal diritto ancora oscuro dalla società moderna.
| |
Barbari Cesare Cesare Dante Cæsar Petrum Chiesa Riforma Dio Dio Stato Chiesa
|